Il giudizio è ancora incerto, ma le piazze in questi primi mesi dell'esecutivo sono meno piene di slogan sindacali. Eppure restano aperti i nodi aumenti e arretrati, così come i problemi post-pandemia. Parlano Giannelli (Associazione nazionale presidi) e Nava (Coordinamento genitori democratici)
Sono passati tre anni, ma l’eco dei due lockdown si allunga sull’oggi, in particolare sulle aule dove docenti e genitori notano ancora le conseguenze vissute dagli studenti a livello di apprendimento, socializzazione, reattività. Intanto, al suo insediamento, il governo presieduto da Giorgia Meloni ha messo l’accento sul “merito” (fin dal nome del ministero dell’Istruzione, che ha il “merito” come corollario), ma ha anche acceso i riflettori sugli insegnanti, tradizionalmente bacino di voti per la sinistra: “La formazione”, diceva Meloni al momento di ricevere la fiducia, “è affidata all’abnegazione e al talento dei nostri insegnanti, spesso lasciati soli a nuotare in un mare di carenze strutturali, tecnologiche, motivazionali”, e prometteva, la premier, interventi su salari e tutele. E se i sindacati, sul merito, si sono subito spesi in chiave critica – per la Flc Cgil la “crescita di una società non è una gara”; per la Gilda “il merito è già nella Costituzione”; per la Cisl “non è vero che le scuole fanno poco per colmare i divari sociali e il compito non deve essere assegnato solo a loro” – i docenti si sono visti riconoscere, a fine dicembre, gli aumenti e arretrati a lungo attesi.
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