Foto di Cecilia Fabiano, via LaPresse 

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Così il governo Meloni vuole cambiare l'esame di maturità

Redazione

Il ministro Valditara annuncia le sue linee programmatiche per l'anno 2022/2023. Due scritti, un colloquio con commissione mista. E poi le Invalsi, utili per la valutazione finale. Mentre l'ex alternanza scuola-lavoro non è più requisito necessario per accedere alle prove  

Giuseppe Valditara, ministro dell'Istruzione e del Merito, vuole tornare indietro, all'epoca pre pandemica: a cominciare dall'esame di maturità. Così decide di riavvolgere il nastro fino al 2017, con qualche eccezione, e riprendere la legge di quell'anno. Nonostante fosse una legge voluta dall'allora governo di centrosinistra, Valditara sostiene in un'intervista alla Stampa, che non è sua priorità "mettere un timbro" laddove c'è qualcosa che funziona. 

E quindi la maturità 2022/2023 sarà composta delle due prove scritte e un colloquio orale. L'orale con docenti interni ed esterni: tre e tre, più il presidente di Commissione. Ma il colloquio è un'incognità, come si svolge? E i Pcto (la fu alternanza scuola-lavoro)? E ancora, le Invalsi?

Il ministro ribadisce che l'orale è "interdisciplinare" e che, per questo motivo, valuta la capacità di "fare collegamenti tra le materie". Per quel che riguarda le competenze disciplinari, sostiene, esistono già le prove scritte. E precisa: "Invierò una circolare che chiarirà esattamente come andrà svolto il colloquio".

 

Pcto e Invalsi sono invece i due più grandi punti di domanda, specialmente se si considerano i cambiamenti radicali introdotti dalla pandemia nei percorsi scolastici degli ultimi tre anni. Per questo motivo, la ex alternanza scuola-lavoro non sarà condizione per l'ammissione all'esame, questo "non perché ci sia ostilità nei confronti dei Pcto", puntualizza Valditara, ma perché "la normativa prevede un monte ore che purtroppo per il Covid molti non hanno potuto rispettare", e quindi: "Sarebbero stati penalizzati gli studenti che non hanno potuto completare i percorsi". 

Lo stesso ragionamento non è stato invece fatto in merito alle prove Invalsi, le quali entreranno nella valutazione finale. Ma per il ministro c'è un corollario da cui non si piò prescindere e che ne motiva la scelta: "Il test Invalsi non è una valutazione delle competenze ai fini del giudizio", dichiara: "Serve a finalità statistiche per comprendere le competenze acquisite dalla comunità scolastica, non dai singoli". Non potranno perciò essere verifiche "astruse". Il ministro, anche su questo punto, rassicura: "Ne parlerò con il presidente dell'Invalsi perché la valutazione possa davvero servire al sistema scolastico".