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l'intervista

Scajola ci riprova a Imperia: "L'appoggio del Pd? Aperto a tutti ma senza sigle"

Giampiero Timossi

Il quattro volte ministro si è da poco ricandidato a sindaco senza l'appoggio dei partiti: "Guardate i dati dell’astensionismo, credete che oggi gli elettori seguano le loro indicazioni?" 

Saranno le Alpi che si vedono dal mare, ma Claudio Scajola ha una certa propensione per le risalite. Anche a 75 anni. L’uomo che costruì il partito Forza Italia, abbandonando le origini movimentiste e vincendo le politiche del 2001, ha fatto quattro volte il ministro e ora riprova a fare per la quarta volta anche il sindaco della sua città, Imperia. Come tutti gli alpinisti Scajola dimostra un certo coraggio: l’uomo che strutturò il partito di Silvio Berlusconi cercherà di diventare primo cittadino di Imperia senza l’appoggio dei partiti. Cosa che gli riuscì già cinque anni fa, quando venne eletto per la terza volta. Solo contro tutti. Meglio, senza avere tra le liste civiche che lo appoggeranno le sigle di uno dei partiti che compongono l’arco parlamentare, neppure quello che costruì e “che cinque anni fa si presentò contro di me, con un altro candidato”.

 

Come consuetudine la candidatura è arrivata pochi giorni prima di Natale, è stata accolta con entusiasmo ritrovato dai centristi di Giovanni Toti (governatore della Liguria), con mal di pancia più o meno espliciti da Fratelli d’Italia e Lega. Forza Italia ha già dettato la linea a livello nazionale: favorire la presenza dei simboli di partito per tutte le elezioni in Comuni sopra i quindicimila abitanti. Ora, dopo le dichiarazioni di Scajola, i “forzisti” sono soliti ricordare “che il sindaco a ottobre del 2020 è stato eletto vicepresidente dell’Anci con l’indicazione precisa dei tre partiti che ora tanto detesta, ossia noi, Fratelli d’Italia e Lega”. Però il ragionamento politico di Scajola fila, spiega la decisione, ma chiarisce anche qualcosa sul futuro: “Guardate i dati dell’astensionismo, credete che oggi gli elettori seguano quelle che sono le indicazioni dei partiti? Io credo di no”.

 

Poi risponde anche sul coraggio dimostrato nel rinunciare pure al simbolo del partito che ha appena vinto le elezioni e messo a Palazzo Chigi il premier Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia: “Sono governativo, ammiro Giorgia Meloni, è volitiva, non condizionabile, serena e consapevole del ruolo che ricopre. Però non tutti sono Giorgia Meloni, il governo ha al proprio interno delle debolezze, ma è giusto dargli fiducia e poi si valuterà. Aggiungo solo una battuta: non basta mettersi la maglia dell’Argentina e pensare di essere diventati un campione come Messi. Questo è un errore che, dopo un successo elettorale, ho visto commettere più di una volta”.

 

Poi, sempre in Liguria, è accaduto anche altro: si è fatto un accordo Pd-Toti per eleggere alla presidenza della Provincia di Savona un sindaco totiano, Pierangelo Olivieri. E allora la sinistra più estrema ha già chiesto: anche Claudio Scajola avrà l’appoggio del Pd? Lui taglia corto, ma non chiude: “Aperto a tutti, contro nessuno, ma non sarei coerente ad accettare l’ingresso di sigle che fino all’altro ieri erano contrarie al nostro progetto. Senza sigle sono aperto a tutti”. Così l’idea sembra chiara, senza aggiungere altro: i partiti si devono rifondare, inutile insistere con vecchie formule e quadri non preparati; ora vediamo come andrà questo voto amministrativo e se la vittoria sarà convincente da un caso locale si potrà pensare a un nuovo progetto nazionale.

 

Scajola ha idee chiare, anche su un tema sempre pronto alla rentrée, quello del partito dei sindaci: “Amo più fare il sindaco che il ministro, il contatto con i cittadini è diretto, senza mediazioni. E la legge elettorale per l’elezione del sindaco andrebbe applicata anche per l’elezione del premier, a doppio turno. Non sono favorevole a un presidenzialismo alla francese, il Presidente della Repubblica deve restare una figura di garanzia, super partes, alla quale rivolgersi anche in particolari momenti di tensione sociale. Per questo è giusto che venga eletto dal Parlamento che rappresenta tutte le forze politiche. Ed è per questo che oggi, in un momento di particolare crisi, la figura di Macron in Francia appare in difficoltà. Sì, invece, a un’elezione del premier su modello del sindaco, a doppio turno. E sì a una riforma che permetta al presidente del Consiglio di sciogliere le Camere”. È la zampata del leone. O il tempismo di un alpinista, uno che sa quando è il momento di iniziare la risalita.

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