Due confortanti abiure

Mps e derivati. Meloni archivia altre due battaglie sovraniste per le nomine al Tesoro

Valerio Valentini

Barbieri, nuovo capo del Tesoro, lavorava a Morgan Stanley negli anni in cui, secondo la propaganda di FdI, si consumava il "salasso" ai danni dell'Italia. Turicchi era il vicepresidente di Mps, lo stesso dossier brandito contro Rivera. Solo negando la sua retorica la premier può governare

Abiura di me. Viene da citare Caparezza, per sintetizzare i primi tre mesi di potere di Giorgia Meloni. La negazione di sé, la confutazione della propria epica fondativa, come forma peculiare di legittimazione. Vale anche, a ben vedere, per le recenti nomine varate dal governo. Dalle quali si ricava la confortante sensazione che, sotto una fermezza di toni tutta recitata, in realtà l’azione dell’esecutivo si sostanzi di una benedetta incoerenza.

 

Il nuovo direttore generale del Tesoro, ad esempio, è stato scelto nel profilo british di Riccardo Barbieri. Riconosciuto da tutti come un eccellente professionista, da quasi otto anni capo economista del Mef. Romano di nascita ma milanese per studi, ha lavorato a lungo a New York e a Londra prima di iniziare la sua fortunata carriera a Via XX Settembre.

 

Ed è notevole che, tra questi trascorsi nel settore privato in giro per il mondo, Barbieri abbia lavorato, tra l’altro, in Morgan Stanley. Notevole perché, in altri tempi, questa banca d’affari era finita al centro delle accuse più strampalate di Fratelli d’Italia. Il gruppo dei senatori del partito, nel giugno  2018, dedicò infatti un intero dossier al tema: “La scommessa dei derivati di stato”. La tesi, riassunta in breve, era che la stipula di un contratto sui derivati tra il Tesoro e Morgan Stanley nel 1994 avesse causato una grave perdita per le casse dello stato. “Le condizioni contrattuali estremamente vantaggiose per la banca porteranno allo stato italiano un danno economico enorme”: il cosiddetto “salasso di capodanno del 2012”, quantificato dai contabili patrioti in 3,4 miliardi. Dunque il misfatto, si legge nel plico dei senatori meloniani, si sarebbe consumato “negli tra il 1994 e il 2011”. E cioè in un periodo che coincide in grossa parte con gli undici anni trascorsi da Barbieri, tra il 1995 e il 2006, proprio a Morgan Stanley nel ruolo di capo economista per i mercati emergenti. Segno, dunque, che dopo le sentenze della Corte dei Conti che hanno, l’ultima pochi mesi fa, accertato l’infondatezza delle tesi cospirazioniste condivise da FdI, forse Meloni ha definitivamente archiviato la crociata sui derivati. Dunque la grande finanza non è più una minaccia per la nazione, non c’è stato alcun illecito da parte dei dirigenti di Via XX Settembre né alcuna truffa da parte di Morgan Stanley: un altro pilastro della propaganda sovranista decade. E menomale.

 

Del resto, in questa storia di ravvedimenti bancari, già s’intravede un’altra rassicurante contraddizione da parte di Meloni. Abiura di me, ancora. Perché la nomina di Barbieri è arrivata a definire un cambio della guardia ai vertici del Tesoro che era stato inaugurato dalla premier in diretta tv un mese fa: quando, durante la conferenza stampa di fine anno, evocò la rimozione di Alessandro Rivera motivandola alla luce del fatto che “la situazione Mps è stata gestita abbastanza pessimamente”. E certo da anni la grancassa meloniana batte contro “lo scandalo” di Monte dei Paschi. Solo che, anche qui, sorge un dubbio. Che quell’Antonino Turicchi che da Palazzo Chigi viene descritto – e a ragione – come un ottimo funzionario pubblico, scelto già come presidente di Ita e ora designato come futuro responsabile delle partecipate di stato da incardinare ai vertici del Tesoro, non sia quello stesso Antonino Turicchi che per cinque anni, dal 2015 al 2020, è stato membro del cda della banca senese, divenendone anche vicepresidente tra il 2017 e il 2020. In che misura, dunque, una gestione “pessima” della faccenda Mps potrebbe vederlo del tutto esente da responsabilità? La domanda s’imporrebbe tanto più se ci si affidasse alle dichiarazioni dell’epoca dei vertici di FdI. Nella primavera del 2020, quando era ormai nota la notizia della chiusura del bilancio consolidato del 2019 di Mps (l’ultimo della “gestione” Turicchi) con un passivo di oltre un miliardo, Giovanni Donzelli descrisse quella appena conclusasi come “l’ennesima buia stagione per Mps”. Nel 2018, l’allora consigliere regionale di FdI, oggi senatore, accusò “gli attuali vertici di Mps” di non offrire “alcuna collaborazione per la ricerca della verità” sulla tragica morte di David Rossi. Ma era un’altra epoca. Quella, cioè, in cui le istituzioni bancarie venivano condannate in modo sommario dalla propaganda meloniana. E anche quella pratica ora viene finalmente archiviate, pare. “Mi credevi il messia? Problemi tuoi”, cantava Caparezza. Abiura di me. E menomale.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.