Patto tra la premier e il suo ministro della Giustizia: a lei serviva scippare la giustizia alla “pelosità” di Forza Italia, raggiungendo un equilibrio tra nuove posizioni garantiste e giustizialismo storico della destra. Equilibrio che richiede però un ammorbidimento anche da parte dell'ex magistrato. Con l'obiettivo di una riforma ambiziosa
Lo apprezza, talvolta forse crede che lui un po’ esageri, dunque s’indispettisce e fa in modo che qualcun’altro, come il sottosegretario Andrea Delmastro, s’incarichi di correggerne le parole. Ma Giorgia Meloni se l’è scelto appositamente Carlo Nordio, il ministro della Giustizia. Ben sapendo chi fosse e come la pensasse questo ex magistrato ipergarantista e liberaldemocratico che è contrario all’ergastolo ostativo, che è sensibile ai diritti degli indagati e dei detenuti, e che vorrebbe circoscrivere l’uso delle intercettazioni. Limitarle, ben oltre quello che in realtà il governo si appresta a fare. Meloni sapeva, dunque, e sa benissimo con chi ha a che fare. D’altra parte, ancora prima che il governo si formasse, persino prima di aver vinto le elezioni, l’attuale presidente del Consiglio aveva già elaborato uno schema e un piano per la giustizia che prevedeva proprio Nordio ministro in nome di un principio che in alcune riunioni riservate lei stessa definiva “riduzione del danno”: non consegnare il ministero della Giustizia a Forza Italia, chiudere per sempre con la stagione delle leggi ad personam occupando e caratterizzando in maniera nuova quello spazio politico fin qui egemonizzato (in maniera “pelosa” secondo molti consiglieri di Meloni) proprio dal partito di Silvio Berlusconi. Ed ecco dunque Nordio.
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