il caso

Giorgetti e Meloni accelerano sulle partecipate: i 2 miliardi di dividendi servono per il caro energia

Valerio Valentini

Palazzo Chigi sembrava volerla tirare in lungo, e invece dal Mef è arrivato il contrordine: bisogna fare presto per il rinnovo dei vertici delle grandi aziende di stato. Si inizia con Eni il 10 maggio, poi Enel, Poste e Leonardo. Si vuole evitare il gioco al massacro politico, ma bisogna anche fare cassa: le entrate extra servono al governo per finanziare i nuovi aiuti a primavera

Il dispaccio, da Via XX Settembre, è partito in via informale: comunicazione riservata, insomma, senza troppo clamore. Ma il messaggio è stato chiaro. Il ministero dell’Economia ha sollecitato le grandi partecipate di stato, già tutte in fregola per il gran ballo di primavera, a stringere i tempi. Non più giugno, e neppure fine maggio, come sembrava. I tentennamenti iniziali di Palazzo Chigi sembrano dunque accantonati. Bisogna anticipare alla prima metà di maggio la convocazione dell’assemblea degli azionisti per il rinnovo dei cda. La prima a rispondere è stata Eni: il dieci maggio sarà il giorno del giudizio. Le altre, da Enel a Poste passando per Leonardo, seguiranno. E’ una fretta, quella del governo, che tradisce due ansie. Una ha a che vedere col gioco al massacro che sempre accompagna la vigilia delle grandi nomine, e il tentativo di limitarlo. L’altra, più banale, riguarda la necessità di fare cassa.

Perché in effetti, oltre che per la ridefinizione dei vertici societari, le assemblee annuali degli azionisti sono decisive, per il governo, perché è lì che si distribuiscono i dividendi. E siccome il Tesoro è di gran lunga il principale azionista delle partecipate di stato, ecco che da quella data dipendono non solo i destini personali di presidenti e amministratori delegati, ma anche le sorti dei bilanci dello stato. Manovre politiche, insomma, e spazi di manovra fiscale.

Vecchia pratica, del resto, quella di attendere i dividendi di primavera per valutare eventuali provvedimenti estivi o correzioni in corsa. Nel 2019, ad esempio, Giovanni Tria attese proprio i 3,4 miliardi di entrate da parte delle partecipate per risolvere il dissidio con l’Unione europea sul deficit eccessivo. E siccome in quel governo Giorgetti era sottosegretario alla Presidenza, e siccome Tria è uno dei suoi più fidati consiglieri, ecco che  il ministro leghista, ora che alla guida del Mef c’è proprio lui, potrebbe ricorrere alla stessa strategia.

Stavolta, però, i dividendi non servirebbero a sanare tensioni con Bruxelles. Ma sarebbero altrettanto propizi. Perché proprio tra fine marzo e inizio aprile scadono  i provvedimenti varati in legge di Bilancio per affrontare il caro energia. Giorgia Meloni, d’intesa con Giorgetti, è determinata a non assecondare le pressioni di chi, nella Lega e in Forza Italia, già invoca un nuovo scostamento di primavera. Le risorse andranno reperite in altro modo, attingendo a quel che c’è.  E dunque potranno essere davvero decisivi, quei 2,2 miliardi che il Tesoro stima di incassare. Questa, infatti, è la previsione messa a bilancio: una cifra prudenziale, dice, al Mef, chi spera di ottenere magari anche qualche centinaio di milioni in più.

Di qui, dunque, la sollecitudine del governo: meglio anticipare. Anche perché evitare lungaggini significa depotenziare quel logoramento tipico della partita a scacchi sulle nomine: una roba che elettrizza il sottobosco romano, col corredo di veline e pizzini ai giornali, spruzzi di fango qua e là, cacciatori di teste in brodo di giuggiole e tatticismi esasperati, e che però spesso aumenta la temperatura interna alle maggioranze. L’orientamento inizialmente giunto da Palazzo Chigi era improntato alla cautela: prendere tempo, valutare, se necessario rinviare. Anche perché, a dispetto di una retorica bellicista che vorrebbe il machete sguainato, al momento sembrano molte le caselle di vertice delle partecipate per le quali si prefigura una riconferma. Pochi giorni fa, invece, il contrordine diramato dal Mef.  E così Eni ha fissato già la data della convocazione dell’assemblea: il 10 maggio si decide. Significa, a norma di legge, che entro 25 giorni prima, dunque metà aprile, il Tesoro, in via diretta o tramite  Cassa depositi e prestiti, dovrà depositare le liste contenenti i nomi dei nuovi componenti del cda, con l’indicazione di presidenti e ad. Lì, dunque, si chiuderanno i giochi. E in quella stessa settimana d’inizio maggio si riuniranno anche le assemblee di Enel e Poste, che pubblicheranno il calendario esatto entro fine gennaio, e quella di Leonardo, l’unica delle grandi a prevedere una doppia convocazione.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.