"Occhio, Giorgia: se ratifichiamo il Mes, rischiamo di passare per babbei", ci dice Foti (FdI)

Valerio Valentini

Il capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera resta contrario al Fondo salva stati. "E' poco chiaro. E se ora diamo il via libera, poi il direttore generale potrà di fatto indurci a prendere i soldi". Messa in dubbio, dunque, la tesi della premier. "Ora siamo al governo: se sbagliamo non possiamo più pentirci"

Le ragioni del governo, certo. “E’ chiaro che c’è una questione di rapporti con l’Europa, nessuno lo nega”. E però, poi, le ragioni di partito. “Perché il Mes è una battaglia storica, per noi. Per cui c’è pure una questione di dignità politica, di coerenza. Per noi, come per altri colleghi del centrodestra”. Tommaso Foti, dunque, ancora no, non si è convinto. “La ratifica del nuovo Mes mi pare qualcosa di poco chiaro”, dice il capogruppo di FdI alla Camera. E fatalmente, pochi passi più in là, ecco il presidente dei senatori della Lega, Max Romeo. Suona anche lui la stessa campana: “Noi siamo da sempre stati contrari, al Mes. E francamente non mi pare ci siano i margini per un ripensamento”. Dunque le resistenze, nella destra sovranista, sono tutt’altro che smaltite. “Ed è dunque un elemento di serietà – prosegue Foti – procedere con cautela. Perché, dopo aver ratificato, non c’è più spazio per pentimenti. E allora sì che faremmo tutti la figura dei babbei”.

Ed è un avvertimento, questo, che il capogruppo meloniano rivolge a tutti i colleghi di maggioranza. Anche a chi, dentro Forza Italia, dice che “piuttosto che preoccuparsi del fatto che Lega e FdI possano perderci la faccia, bisogna interrogarsi se restare gli unici tra i paesi europei a bloccare la riforma del Mes non rischi di far perdere miliardi all’Italia: quelli della maggiore flessibilità sul Pnrr, ad esempio”. Anche a chi, come il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, manda a dire che “stare al governo è diverso dal fare opposizione”. Foti non si scompone. Anzi, a suo modo, è proprio rivendicando “cultura di governo” che raccomanda prudenza: “Perché ora alla guida del paese ci siamo noi. Se le nostre scelte si rivelano azzardate, non possiamo prendercela con gli altri. Se ratifichiamo un trattato da cui poi avremo delle brutte sorprese, non ci sarà tempo per tornare indietro. Ma solo per passare per dilettanti”.

Che poi, prosegue Foti, “neanche è chiaro se si tratti davvero di un trattato e non piuttosto di un accordo intergovernativo”. E qui, colti alla sprovvista, tocca fare ammissione d’ignoranza: in che senso, onorevole? “La distinzione è sottile, lo capisco, ma può essere decisiva. Per questo dico che bisogna approfondire, capire bene”. Ma sono due anni, almeno, che se ne discute. “E noi, ce lo consentirete, non abbiamo mai mancato di esprimere la nostra ferma contrarietà. E del resto, se ci viene posto come un prendere o lasciare, più che un trattato o un accordo a me appare come un diktat”. Ma non ci viene imposto: è stata la stessa Italia, due anni fa, a dare il via libera a un emendamento del trattato che ora va, semplicemente, ratificata. “Un altro governo dette il suo via libera. Noi di certo non lo avremmo dato”.

E ora, dunque? “E ora, appunto, al governo ci siamo noi. Dunque, ripeto: cautela. Anche sul distinguere tra la ratifica del trattato e il ricorso alle linee di credito del Fondo salva stati, ad esempio …”. Be’, su questo almeno sarete stati rassicurati dalle parole di Giorgia Meloni: è stata lei a indicare con forza questa distinzione. L’utilizzo dei fondi del Mes no, mai, “lo firmo col sangue” eccetera; ma la ratifica, ha detto la presidente del Consiglio, “è un’altra questione e deciderà il Parlamento”. “Ecco, io ho una mia teoria, su questo, che è diversa”. Sarebbe? “Non sono affatto sicuro che non ci sia automaticità tra il ratificare il nuovo Mes e il farvi ricorso. E non solo perché, una volta che noi ratifichiamo, consentiamo di fatto a un futuro governo di altro colore di accedervi, eventualmente. Ma il fatto è che, a mio avviso, il direttore del Mes può in sostanza spingere un paese a prendere i soldi del Fondo salva stati”.

Si parla dello stesso Pierre Gramegna, però, che pochi giorni fa è stato ricevuto da Meloni a Palazzo Chigi. E lui, lunedì, si è detto rassicurato dalle parole della premier. Ha, anzi, anche spiegato che eventuali proposte di revisione del funzionamento del Mes sono benvenute, ma per valutarle occorre prima completare la ratifica. “E qui, però, sta il nodo. Perché prima ci si chiede di ratificare, subito. Poi, forse, eventualmente, verranno prese in considerazioni le varie proposte di riforma”.

Insomma Foti non si fida. E spiega quindi che non c’è solo un’incognita sul quando e sul come. “Perché – osserva – fino a fine febbraio ci sarà molto traffico in Parlamento, tra il Milleproroghe in scadenza e il nuovo decreto sulle Ong da licenziare”. Ci sarebbe la discussione alla vigilia del Consiglio europeo del 9 e 10 febbraio: magari quella potrebbe essere una buona occasione, anche per dare un’indicazione al governo prima del vertice a Bruxelles. “No, non mi pare appropriato. Qui non bisogna far passare sotto silenzio la ratifica, depotenziarne il dibattito parlamentare. Serva anzi affrontare bene la questione, punto per punto, con un voto alla luce del sole. Non si possono fare le cose così, alla carlona. Altrimenti poi sapete cosa si rischia?”. La figura dei babbei? “Appunto”. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.