(foto Ansa)

lo scenario

Il governo sul Mes si è infilato in un cul-de-sac

Redazione

Il ministro Giorgetti in visita a Bruxelles riceve elogi per la possibile ratifica del Fondo salva stati. Ma ora tutto dovrà passare dal Parlamento, che a novembre si espresse in senso contrario. Borghi (Lega): "Non lo voteremo mai". Il peso delle amministrative e il tentativo di posticipare la decisione

Oramai anche alle istituzioni europee pare sempre più probabile, quasi scontato, che l'Italia alla fine ratificherà il Mes. Almeno è quello che i vertici comunitari hanno manifestato piuttosto in chiaro dopo che ieri il ministro Giancarlo Giorgetti ha partecipato a una riunione dell'Eurogruppo. Dove il titolare dell'Economia si è ritrovato inusualmente al centro dell'attenzione dei colleghi, che hanno espresso pareri favorevoli sull'operato del governo italiano. Al punto che il leghista deve essersi quasi imbarazzato di dover tornare a Roma con quella che sembra apparire come una vera e propria consegna. Il vicepresidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis ha riconosciuto che l'esecutivo italiano è al lavoro sul punto, che "pare esserci qualche progresso". E anche per il commissario Paolo Gentiloni il fatto che ci possa essere un'iniziativa del governo per arrivare alla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità è un "fatto positivo".

Sono posizioni che seguono quelle dei vertici del Mes, rassicurati dalla stessa premier Meloni nell'incontro di settimana scorsa a Palazzo Chigi. Quello in cui il capo del governo ha detto che la ratifica ci sarà. ma ha anche auspicato "la possibilità di verificare, insieme agli altri stati membri, possibili correttivi”, sulla scia di quanto già chiesto, per esempio, dall'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti, in passato uno dei più strenui oppositori dello strumento.

Ma che la soluzione non sia così a portata di mano lo prova il fatto che è bastato riparlarne per aizzare gli animi di chi nella maggioranza vede il Mes come un'emanazione demoniaca: basta evocarla per arrovellare il clima e il lavoro della coalizione. Annoveriamo di certo tra questi il senatore leghista Claudio Borghi che oggi, in un'intervista alla Stampa, ha ripetuto come il Meccanismo europeo "non lo voteremo mai" perché "ci costerebbe 130 miliardi" e soprattutto perché "prevede delle clausole che ci porterebbero in default in una settimana". In sostanza, sarebbe l'anticamera della Troika in versione greca. Si capisce perché Meloni e gli altri ministri non vogliano giocare col fuoco e far passare la ratifica in sordina, quasi non parlandone più. Almeno per ora. 

Anche quando aveva aperto alla ratifica, la stessa premier ha detto che se ne dovrà occupare il Parlamento. Che però si è già espresso contro la ratifica votando una mozione che impegnava il governo lo scorso novembre. Un passaggio potrebbe essere una via preferenziale opzionata dallo stesso esecutivo, magari con una risoluzione votata appunto dalle Camere, ma il tempismo in questo caso sarà una variabile importante. Perché dalle parti di Chigi si sono convinti che prima delle elezioni regionali di Lazio e Lombardia sia impossibile intervenire in materia, per non surriscaldare gli animi. Dopo di che se ne potrà parlare, ma ecco, non succederà domani. Ed è il motivo per cui Giorgetti ricevendo elogi dai colleghi europei ieri sera ha pensato che fossero più un impiccio per la tenuta degli equilibri interni che non un vanto. 

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