Meloni nell'angolo del Mes

Luciano Capone

La furbata giorgettiana di dire “Aspettiamo la Germania” è durata poco. La Corte di Karlsruhe ha deciso e ora la premier deve decidere se rimangiarsi le sue tante battaglie ratificando il trattato oppure se mettere l'Italia ai margini in Europa bloccando la riforma

Avrebbe potuto approvare subito la ratifica del nuovo trattato del Mes, come gesto politico unilaterale per dimostrare all’Europa che il suo governo non ha nulla a che vedere con il sovranismo antieuropeista. D’altronde l’Italia è l’unico paese insieme alla Germania a non aver ratificato il nuovo Mes, e il Parlamento tedesco l’aveva già votato ma pendeva un ricorso costituzionale, quindi prima o poi sarebbe arrivato il momento di decidere. Si trattava di anticipare i tempi per non finire nell’angolo.


Certo, Giorgia Meloni si era presentata al Parlamento dicendo “non indietreggeremo”, e stavolta si trattava di fare una clamorosa retromarcia rispetto alle battaglie contro il Mes, definito “un cappio al collo”  per l’Italia, e alla solenne promessa dello scorso marzo alla Camera: “Sull’approvazione della riforma del Mes la nostra opposizione sarà totale” (applausi dei deputati del gruppo di Fratelli d’Italia, riporta lo stenografico). Non ce l’ha fatta. E così ha preferito una posizione ambigua e pavida. Meloni, messe da parte le roboanti dichiarazioni contro il Mes di pochi mesi fa, ha sorvolato: “Il governo non ha ancora aperto questo dossier”. La linea  l’aveva data Giancarlo Giorgetti: “Siamo in buona compagnia con la Germania. Aspettiamo con pazienza la decisione della Corte di Karlsruhe”.

 

Di conseguenza il governo dei “patrioti”, anziché far sovranamente deliberare il suo Parlamento, ha deciso di aspettare le decisioni della Germania. O meglio, come la Corte costituzionale tedesca giudicasse una decisione del Bundestag. L’opportunismo ha prevalso sul sovranismo. Si è colto il ricorso in Germania come opportunità per prendere un po’ di tempo e non sciogliere i nodi politici nella maggioranza. Giorgetti, in fondo, una decisione l’ha già presa. L’ha fatto capire quando ha detto “faccio esattamente come il mio predecessore e come Draghi”, che ha un significato ambivalente: come Draghi e Franco ho intenzione di approvare il Mes, come Draghi e Franco aspetto perché ci sono partiti contrari. E l’ha fatto capire meglio quando a fine novembre, come ministro dell’Economia e terzo azionista del Mes, ha dato il via libera alla nomina del nuovo capo del Fondo salva stati indicato dalla Germania, il lussemburghese Pierre Gramegna, che come primo punto del programma aveva la ratifica del nuovo Mes.

 

Solo che Giorgetti non sapeva come farla digerire ai partiti di maggioranza, a partire dal suo, la Lega, che da tempo è schierato come FdI ideologicamente contro il Mes. E così, quando il 30 novembre si è discusso in Parlamento del tema, la destra pensava di aver trovato l’uovo di Colombo con una mozione che diceva in sostanza: per ora il governo non ratifichi il Mes, aspettiamo la Corte di Karlsruhe. Giorgetti era contento di non aver detto no, la fazione antieuropeista di non aver detto sì, Meloni di aver rinviato il problema. E tutti a darsi di gomito e pacche sulle spalle per il geniale escamotage.


Ma la sentenza della Corte di Karlsruhe è arrivata subito dopo, ieri, e com’era facilmente prevedibile ha rigettato il ricorso contro il Mes. Così quelli che si ritenevano furbi, come spesso accade, si sono scoperti fessi. L’Italia è l’unico paese che manca all’appello e il governo sarà costretto a prendere la decisione che ha a lungo evitato. La speranza è che nel governo e nel paese non si apra un dibattito Mes sì/Mes no che non è esistito altrove. Altrimenti l’occasione persa per acquisire un po’ di credibilità in Europa si trasformerebbe in un triste spettacolo che fa perdere quella residua.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali