il viaggio del ministro

Herr Giorgetti cerca sponde a Berlino: svolta sul Mes, poi Ita e Orbán

Tutte le mosse per garantirsi la benevolenza della Germania

Valerio Valentini

Alla presidenza del Fondo salva stati, col sostegno decisivo dell'Italia, va il lussemburghese filotedesco Gramegna, che ha come obiettivo di favorire la ratifica del trattato. Messaggio ai sovranisti italici. Sulla ex Alitalia, il Mef predilige la trattativa con Lufthansa. E sulle sanzioni all'Ungheria, il ministro leghista è pronto ad assecondare Lindner

La battuta che gli viene attribuita, forse dettata dalla suggestione dei Mondiali, è quella per cui “i Consigli europei sono un po’ come le partite di calcio”. Insomma “un gioco semplice” che dura 90 minuti e in cui alla fine “la Germania vince”. Eccolo, il pensiero di Herr Giorgetti, ministro dell’Economia del partito più antitedesco che è diventato il miglior amico di Berlino. Convinto che la sintonia col collega Christian Lindner, sul dossier del Mes come su quello Ita, possa tornare utile all’Italia.

Che sul risiko intorno al Fondo salva stati ci fosse stata una svolta, che Giorgetti avesse ordinato il riposizionamento italiano a favore del candidato favorito dalla Germania, lo avevamo raccontato qui già il 12 novembre scorso. Che quella mossa avrebbe indotto poi anche la Francia a recedere dai propositi bellicosi, inducendo al ritiro il portoghese João Leão, alfiere dei paesi del sud, è parso evidente negli ultimi giorni. E così ieri, a metà pomeriggio, al termine di una rapida videoconferenza tra i 19 ministri competenti dell’Eurozona, l’apoteosi di Pierre Gramegna, ex responsabile delle Finanze del Lussemburgo, è stata ratificata senza troppo clamore. Felicitazioni da parte di tutti, e grande soddisfazione di Lindner, che è di fatto stato il propiziatore della nomina.

Quanto agli affari di casa nostra, a Bruxelles c’è chi ha notato che la scelta unanime del nuovo presidente del Mes impone ora all’Italia di deporre le residue resistenze alla ratifica del nuovo trattato. Visto che, peraltro, il neo eletto capo del Mes, votato anche da Giorgetti, nella sua lettera di presentazione della candidatura dichiarava che “il mio primo e principale obiettivo sarà di accompagnare la piena ratifica e la conseguente attuazione del pacchetto di riforma del Mes”. Impegno che grava proprio su Germania e Italia. A Berlino si attende la pronuncia della Corte costituzionale tedesca; in Italia che i giudici di Karlsruhe, 1.200 chilometri più a nord di dove Giorgia Meloni esercita il suo patriottico magistero di presidente del Consiglio, facciano decadere le ultime ipocrisie politiche nel centrodestra.

Le stesse che  Giorgetti pare intenzionato ad aggirare anche su altre questioni. Se davvero il 6 dicembre, ad esempio, sarà l’Ecofin a dover decidere del congelamento dei fondi comunitari verso l’Ungheria, il ministro leghista adotterà lo stesso pragmatismo mostrato finora nelle sue relazioni europee, quello per cui, quando Francia e Germania indicano congiuntamente una via, “spazio per inventarsi manovre non ce n’è”. Ritrovandosi così a dover scontentare non solo il Carroccio, che proprio due giorni fa ha rinnovato l’intesa col partito di Viktor Orbán, ma anche con quella Meloni che alle sue truppe di FdI ha sempre ordinato – e l’ultima volta è stato  giovedì – di non avallare le sanzioni verso Budapest.

C’è infine un altro dossier, che vede un sostanziale avvicinamento di Giorgetti agli umori tedeschi. E’ quello di Ita. L’aver riaperto una trattativa che sembrava chiusa, sottraendo alla cordata guidata dagli americani di Certares la garanzia di un dialogo esclusivo col Mef e rimettendo dunque in gioco Lufthansa, è stata una scelta che a Berlino non è passata inosservata. Anche perché a Berlino, nel suo primo viaggio diplomatico da ministro dell’Economia, Giorgetti si è recato, era il 2 novembre, proprio all’indomani della sua decisione di riaprire la trattativa. Nulla di troppo programmato, dicono a Via XX Settembre, dove ricordano che la preferenza di Giorgetti per la cordata a guida tedesca era nota sin da quando il vice di Matteo Salvini era alla guida del Mise. Lui dice che la nazionalità dei competitor c’entra poco. “Quello che conta – spiega – è individuare un partner industriale solido che possa dare alla compagnia aerea una prospettiva di lungo respiro, e non un fondo d’investimento”. Ed era questa convinzione ad averlo posto in attrito coi vertici del Tesoro, che  badavano più alla valutazione delle offerte economiche, e quindi  preferivano quella di Certares. Questione di prospettive, dunque. E di priorità. Di certo, per Giorgetti, fare uno sgarbo a Berlino, in questo momento, non è il caso. Non alla vigilia di tribolate discussioni sul Patto di stabilità e sul Next Generation Eu. Anche perché si sa, come vanno, questo cose. Un po’ come col calcio. “Alla fine vince la Germania”.
Valerio Valentini

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.