
Foto di Mauro Scrobogna, via LaPresse
citazioni improprie
Sangiuliano, il ministro che evoca i massimi filosofi italiani al tg dell'ora di cena
Somiglia più a Giovanni Gentile che a Croce. Lo spirito crociano latita, soprattutto per la mancanza di gusto verso i dettagli significativi, e sentendolo parlare sembra di ascoltare una retorica nebulosa dalla quale è possibile intravedere Putin come atto puro
Un giorno della settimana scorsa, al Tg1 della sera, è accaduto un piccolo fatto esotico. In un’intervista di due minuti sulla gestione dei musei, il ministro della Cultura Sangiuliano ha trovato il modo di citare la reazione antipositivista guidata a inizio Novecento dalla “Critica” di Croce e Gentile. L’intervistatrice sembrava in imbarazzo; e credo che molti telespettatori, perfino quelli che conoscono gli studi del ministro, siano rimasti stupefatti. Un po’ perché non capita tutti i giorni che un esponente del governo evochi i massimi filosofi italiani del secolo scorso al telegiornale. Un po’ perché la citazione, con il tema, c’entrava poco: ma si vedeva che Sangiuliano ci teneva proprio, e da uomo di televisione, sapendo che i tempi sono stretti, cercava di pigiare nel suo discorso il neoidealismo accelerando il ritmo delle frasi, senza tuttavia togliere all’eloquio una solenne cadenza primonovecentesca.
Quella sera ho pensato che si trattasse di un episodio isolato. Invece l’altro giorno si è ripetuto. Sempre a un telegiornale che va in onda all’ora di cena, il ministro ha commentato l’eccezionale scoperta archeologica delle statue di San Casciano. Ma già alla seconda frase si era staccato dalla concretezza materiale di quei bronzi mirabili, per pronunciare nientemeno che l’espressione “senso immanente”. E di nuovo gli spettatori increduli venivano sollevati verso il cielo del neoidealismo – ossia verso una ben diversa concretezza, in realtà tutta astratta. Qui però sarebbe bene proporre a Sangiuliano una crociana distinzione, che riguarda appunto Croce.
Mi sembra infatti che il suo piglio sia molto distante dal pontefice di Palazzo Filomarino, cioè dal padre nobile del liberalismo italiano. Il ministro, è vero, potrebbe obiettare che lui si rifà al primo Croce, hegeliano e machiavellico, mentre rifiuta l’opera con cui il filosofo maturo, accorgendosi delle possibili conseguenze delle sue teorie – leggi: Mussolini – ha imboccato un’altra strada, ergendo il progresso della libertà a principio fondamentale della storia. Comunque sia, a Sangiuliano difetta un po’ il gusto crociano per i dettagli significativi, oltre che quello per il liberalismo. Il ministro ama e studia anche Prezzolini, ma neppure a lui somiglia: a tacere del resto, gli manca il suo scetticismo ironico, cinico, critico, ambiguo.
Guardandolo e ascoltandolo, si capisce che il suo modello è piuttosto la retorica nebulosa, volontaristica e impettita del gentilianesimo. Si capisce che immagina auguste, inamidate, autarchiche istituzioni cultural-corporative. E naturalmente si capisce che, secondo gli schemi di tanta cultura antimoderna, disprezza il “materialismo americano” (il primo esempio che gli è venuto in mente, per sostenere i musei a pagamento, è stato quello di un nababbo californiano con lo yacht, che “si potrà pur permettere il biglietto”). Un gentiliano si mette facilmente in cerca dell’Uomo – se è Donna, somigli almeno alle allegorie della Patria! – che sappia dimostrare l’unità di Pensiero e Azione. E Sangiuliano l’ha trovato, in effetti, ma più che in Italia all’estero: Putin come Atto Puro.