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Due piazze e la chiesa

Pacifismi e verità. Perché andare all'ambasciata russa

Maurizio Crippa

Dopo la giornata dei razzi, è giunto anche per ilmondo cattolico il momento di una "nota di disambiguazione". Non si può considerare "alla pari" Putin e l'Ucraina. Da cosa nasce la scelta di un sit-in senza ambiguità. Un editoriale di Avvenire che fa discutere, le sigle in campo. L'Angelus del Papa del 2 ottobre ha chiarito molte idee

Grande è la confusione sotto la tenda della pace, la situazione è eccellente: per Putin però. O per chi confusamente ne difende le istanze e la propaganda, faticando o proprio non riuscendo (per ideologia, e persino per retorica irenista-religiosa) a dire parole di verità. Ad esempio chi, anche dopo la tremenda giornata dei missili, non riesce a riconoscere che non c’è la minima proporzionalità né somiglianza tra l’aggressione di Putin e la resistenza ucraina (è la raccapricciante parificazione di “azioni e reazioni” evocata da Conte, autoproclamato nuovo leader pacifista). Per fortuna non è soltanto così, nel variegato settore “contro la guerra”.

   
Che la linea di faglia sia proprio la capacità (volontà) di usare parole di verità lo segnalava bene ieri Paolo Mieli sul Corriere: “La lingua dei furbi”, per i quali il problema è sempre “l’escalation” di Zelensky, mai quella di Mosca. Incredibilmente, l’articolo di Mieli è sembrato una risposta in diretta all’editoriale di Fulvio Scaglione su Avvenire. In cui il collaboratore senior del giornale dei vescovi definiva, papale papale, “attentato ucraino” quella che è stata invece, e forse, una legittima azione in una guerra di difesa. Nel tentativo scivoloso di appaiare le responsabilità, Scaglione evoca un “partito della guerra a oltranza”, preso di peso dall’armamentario impalatabile di Nico Piro, “Partito unico bellicista” – con cui del resto da mesi è tutto uno scambiarsi buffetti social con @Avvenire_Nei. “Sappiamo chi è l’aggressore e chi è l’aggredito, ma ripeterlo senza fare nulla è ormai un mantra consolatorio”, scrive Scaglione, cui almeno il pregio della sincerità va riconosciuto. Invece non è inutile ripeterlo: perché solo un cessate il fuoco dei russi può fermare la strage. 

 
Posizioni come quella dell’editorialista di Avvenire indignano molti, e non da ieri, anche nel fronte che vuole fermare la guerra al più presto. Del resto Scaglione non ha mai nascosto i suoi punti di vista: qualche mese fa su Famiglia cristiana si sforzava di confutare la “diceria” secondo cui Putin “vuole-si-appresta-sta per invadere l’Ucraina”. Balle, diceva l’ex corrispondente dalla Russia. Che del resto già nel 2017, a Crimea invasa da 3 anni, scriveva sul blog dei 5 stelle articoli in cui definiva la Russia “un partner economico e strategico contro il terrorismo”. Da anni, su questo disconoscimento ideologizzato dei fatti (è sempre colpa degli Usa e della Nato) si è costruito più di metà del “pacifismo” all’italiana, anche di matrice cattolica. Una palude russa su cui pattina da mesi anche Marco Tarquinio. Del resto nemmeno il direttore fa mistero del suo pensiero: a maggio, a La7, tra un “come ha detto bene Di Cesare” e l’altro, sosteneva che “se Zelensky avesse fatto le valigie da Kyiv per tempo, la guerra sarebbe già finita”. La confusione tra una pace che, secondo il pensiero della Chiesa, non esiste senza “verità e giustizia” e un pacifismo giustificatorio è forte.

 
E’ inevitabile che a un certo punto, in questa fase sempre più drammatica, qualcosa intervenga a schiarire le idee, a dividere il grano dal loglio in quella che genericamente viene descritta come area pacifista: associazionismo, mondo cattolico, reti sociali e personalità pubbliche di varia estrazione culturale e politica. Del resto, dopo alcuni eccessi di prudenza, Papa Francesco all’Angelus del 2 ottobre scorso ha chiarito una volta per tutte la posizione del Vaticano. Francesco ha  chiesto a Putin di fermare la “spirale di violenza e morte”; e si è rivolto poi a Zelensky invitandolo a “essere aperto a serie proposte di pace”. Dove quel “serie” non evocava sicuramente Elon Musk o la propaganda russa.
Così, mentre una parte del mondo cattolico ha aderito convintamente all’ambigua linea di Conte, lanciata proprio da un’intervista ad Avvenire, per una manifestazione “contro la guerra”, ma “senza sigle e senza bandiere”, dopo il 20 ottobre, altre persone dopo la giornata dei missili hanno scelto una “nota di disambiguazione”. Il Mean, Movimento europeo di azione nonviolenta (sempre utile non confondere il metodo nonviolento col pacifismo da social e da striscioni pro Gazprom), assieme a personalità come Marco Bentivogli, Angelo Moretti di Sale della terra, Luigi Manconi, Sandro Veronesi, Riccardo Bonacina di Vita, Luca Diotallevi, Mauro Magatti e una rete di sigle come Base Italia, LiberiOltre, Comitato giovani per l’Ucraina hanno indetto un sit-in per il 13 ottobre (ore 18.30) a Castro Pretorio davanti all’ambasciata russa: spezzando un tacito tabù. E spazzando via le tante stupidaggini sentite in questi mesi. Ieri, scrivendo proprio al direttore di Avvenire, Lia Quartapelle ricordava che “manifestare per la pace è giusto, ma senza cadere nell’equivoco del neutralismo che mette Russia e Ucraina sullo stesso piano”.

 
Nota bene necessario: non si sta qui descrivendo alcuna spaccatura politica, né tantomeno tra sigle: molti di coloro che lavorano alla manifestazione proposta da Conte saranno il 13 anche davanti all’ambasciata di Mosca. E viceversa ovviamente. Ieri Enrico Letta ha fatto sapere che sarà al sit-in del 13 (ma non ci sono per ora adesioni ufficiali), segnale in più di trasversalità delle iniziative. Ma il segnale più chiaro è che l’aggravarsi della situazione sul campo costringe anche il mondo pacifista o nonviolento, soprattutto di marca cattolica, a scegliere quella “linea della verità” senza cui non ci sarà pace. Ad esempio, per gli organizzatori del 13 ottobre il primo passo, non una pace generica, deve essere un “cessate il fuoco e ritiro immediato delle truppe russe dal territorio ucraino”. Intanto la Comunità di Sant’Egidio ha intitolato “Il grido della pace” l’incontro di preghiera nello spirito di Assisi organizzato a Roma dal 23 al 25 ottobre. A chiuderlo ci sarà il Papa.
 

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"