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Breve indagine

La campagna elettorale dei pieni doveri

Claudio Cerasa

Esteri, debito, Europa, Pnrr, sanzioni, persino Draghi. La vera sorpresa del confronto tra i partiti non riguarda i litigi ma le convergenze sui grandi temi (Salvini a parte). E per i nemici di Meloni è un guaio

Il confronto a sei organizzato domenica scorsa a Cernobbio dal Forum Ambrosetti ha fatto discutere molto per un gioco birichino di sguardi, per così dire, tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. La storia la conoscete. Giorgia Meloni, di fronte a una ricca platea di investitori e  imprenditori, ha squadernato in pochi minuti le ragioni del suo atlantismo, spiegando con toni responsabili perché oggi sostenere le sanzioni contro la Russia non è un tema che si può mettere in discussione.

 

 Qualche istante dopo, al suo fianco,  Matteo Salvini, con tanto di slide, ha spiegato, attingendo dal meglio della narrazione offertagli dalla Bagnai e Borghi associati, le ragioni per cui invece le sanzioni, a suo modo di vedere, sono una boiata pazzesca e sono un problema, ormai, secondo Salvini, più per chi le ha create che per chi le subisce (falso: a luglio le entrate da petrolio e gas  in Russia sono diminuite del 22 per cento, le altre entrate della Russia escluso il settore oil & gas sono crollate del 30 per cento, il crollo del pil per il 2022 è inferiore al previsto ma è il più alto registrato tra i grandi paesi del mondo: tra il 4 e il 6 per cento secondo la stessa Banca centrale russa). Ha fatto discutere per questo, il confronto, perché la distanza tra Salvini e Meloni, sui temi di politica estera, è abissale,  incredibile, e il quasi svenimento di Meloni negli istanti in cui Salvini parlava di pensioni resterà negli occhi di molti elettori più o meno come le immagini del Salvini preso a calci metaforici nel sedere in Polonia da un sindaco desideroso di smascherare l’ipocrisia del Salvini fiero difensore dell’Ucraina dopo essere stato fiero espositore di magliette pro Putin.

Ha fatto discutere per questo, il confronto, ma la ragione vera per cui le frasi di Salvini hanno colpito, e sono apparse per così dire fuori dal mondo,  riguarda un elemento interessante di questa campagna elettorale emerso con chiarezza ascoltando i sei più importanti leader candidati alle elezioni. E l’elemento è questo: litigare in campagna elettorale, dacché era una prassi consolidata, è diventata quasi una notizia, una rarità, e l’elemento dissonante delle dichiarazioni di Salvini, in fondo, non riguardava solo la posizione diversa rispetto a quella di Meloni, che c’era, ma riguardava anche una posizione diversa, sui grandi temi, rispetto a quella dei suoi avversari. A venti giorni scarsi dalle elezioni, il 25 settembre, come è emerso con chiarezza osservando con attenzione i dialoghi a Cernobbio a porte chiuse è un fatto che il principale partito del centrodestra, Fratelli d’Italia, e buona parte dei partiti schierati in campo contro Meloni, dal Pd di Enrico Letta ad Azione di Carlo Calenda, fanno una fatica matta a bisticciare su alcuni temi strategici.

In politica estera, stessa visione: serve più atlantismo, serve meno putinismo (e dunque, in questa chiave, le sanzioni non vanno sabotate, come chiede la Cremlino associati, ma vanno migliorate). Sulla crisi energetica, stessa visione: serve più Europa, non serve più debito (e dunque, in questa chiave, è lecito aspettarsi dall’Europa qualcosa di più, non per fare quello che chiede senza senso Salvini, “far pagare all’Europa il costo delle sanzioni”, ma per attivare il prima possibile alcuni scudi europei capaci di proteggere i cittadini dell’Unione europea con un’efficacia simile a quella registrata durante la pandemia; e dunque più velocità verso il decoupling del prezzo del gas da quello dell’elettricità, e ci siamo quasi, più concretezza per imporre il tetto a gas russo, tetto che verrà negoziato nei prossimi giorni con i governi dei paesi dell’Ue, e creazione di un fondo Sure per le imprese in difficoltà, qualora dovesse verificarsi un aumento improvviso della disoccupazione causato da possibili chiusure di imprese).

Persino su Mario Draghi, tutti d’accordo: è stato un grande presidente, grazie di tutto, anche Meloni a Cernobbio ha detto che il governo Draghi aveva solo il problema di non essere stato eletto, sostanzialmente, e di rappresentare per modo di dire gli elettori (resta solo il mistero di chi lo abbia fatto cadere). Sul Pnrr, ancora, stessa visione: gli impegni si rispettano, ma qualcosa si può modificare. Sul rispetto degli investitori, sul rispetto cioè di tutti coloro che hanno in pancia il debito pubblico italiano, stesso approccio: non possiamo fare troppe promesse, in campagna elettorale, come hanno detto a Cernobbio sia Enrico Letta sia Giorgia Meloni sia Carlo Calenda, perché l’Italia è un paese che si muove all’interno di alcuni vincoli e quei vincoli costringono chi andrà al governo a non poter usare la finanza pubblica come se fosse il bancomat del monopoly.

 Il risultato è quello che osserviamo da giorni. Le polemiche, quando ci sono, avvengono per via di alcuni scivoloni, per via di alcune frasi oscene di Meloni sulle devianze, per via di alcuni video indegni dei leghisti contro i rom dei leghisti a Firenze, per via di alcune ricostruzioni sulla caduta di Draghi, per via di alcuni rigassificatori non fatti. Ma il più delle volte, se ci si fa caso, il massimo che gli avversari di Meloni riescono a dire a Meloni è “ma guarda quanto è brutto quel tizio con cui ti accompagni”, “ma guarda quanto è brutto il tuo passato”, “ma se la Meloni è davvero cambiata, come si dice, che ci fa lì in compagnia di chi sostiene in politica estera, sull’Europa, sull’energia idee così difformi dalle sue?”. La novità della campagna elettorale in corso, una campagna elettorale da questo punto di vista bellissima, è che sull’agenda dei doveri i partiti faticano a litigare, faticano a bisticciare, faticano a dividersi, al punto che lo stesso Carlo Calenda, che poi ieri ha rettificato, domenica si è lasciato andare e ha detto di augurarsi, per il futuro, nientemeno che “un governo di unità nazionale, e mi auguro che dentro ci sia anche la Meloni”. Le distanze restano, le polemiche non mancheranno, i bisticci si manifesteranno, ma intanto a venti giorni scarsi dalle elezioni la sorpresa, e che sorpresa, è questa: sui grandi temi i grandi partiti non riescono a litigare davvero e quando succede che qualcuno metta da parte l’agenda dei doveri succede che quel qualcuno appaia più o meno come è apparso domenica a Cernobbio Salvini, non solo ai suoi avversari ma anche ai suoi alleati: semplicemente e irrimediabilmente fuori dal mondo. 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.