"Il presidenzialismo? Il Pd non si sottragga alla discussione. Ma la destra sia seria". Parla Filippo Andreatta

Valerio Valentini

Il professore e saggista offre la sua analisi a Enrico Letta: “La proposta della Meloni è uno slogan. E tirare in ballo il destino di Mattarella è agghiacciante. Ma l’elezione diretta del premier può essere una soluzione, e forse sarebbe il vero coronamento del Pnrr. Serve una bicamerale e una legislatura costituente". 

Il rifiuto aprioristico no, non sarebbe un approccio saggio. “E penso che ne sia convinto anche Enrico Letta: di una riforma costituzionale questo paese ha bisogno, la vita di questa legislatura ne è la palese dimostrazione”. A patto, certo, che le regole d’ingaggio siano chiare. “Perché evocare un ridisegno del nostro assetto istituzionale così, come fa la destra, come un superficiale slogan elettorale, e per giunta collegandolo alle agghiaccianti richieste di dimissioni di Mattarella, rieletto da pochi mesi a maggioranza ampissima anche coi voti di Lega e Forza Italia, è inaccettabile”. Che fare, allora? “Una bicamerale, ad esempio, che richiede però uno spirito sinceramente costituente. Perciò tutti i partiti, prima che si conoscano i risultati elettorali e a prescindere da questi, dovrebbero impegnarsi in questo senso sin da oggi”. Questa è la ricetta di Filippo Andreatta.

 

E detta così, sembra quasi facile. “E invece no”. Facile non è, dice il professore Andreatta, direttore del dipartimento di Scienze politiche all’Università di Bologna e figlio di quel Nino che fu mentore dell’attuale segretario del Pd, perché “anzitutto bisognerebbe capire di cosa parliamo, quando parliamo di presidenzialismo”. Proviamoci. 

 

Ci sono due modelli di riferimento, nel mondo occidentale: quello presidenziale e quello parlamentare. Le eccezioni ibride, come quella francese, si basano su storie nazionali particolari e, appunto, eccezionali. Il primo modello è quello americano, con un’elezione diretta del presidente, che è il capo dell’esecutivo, e con un Congresso designato dal voto popolare che procedono in parallelo, per così dire. Ma quel sistema si regge su un sistema bipartitico e consuetudini bipartisan, presupposti molto lontani da quelli italiani”. E allora? “E allora per l’Italia bisognerebbe seguire l’altro modello, quello parlamentare”.

 

Sarebbe un’anomalia nostrana? “No. In Europa continentale non esistono sistemi bipartitici, e quindi il vero problema è quello della stabilità delle coalizioni di maggioranza in Parlamento. Si può contemplare un’elezione diretta del capo dello stato nell’ambito di un sistema parlamentare, come in Austria, Finlandia o Irlanda, ma non risolverebbe il problema della durata dei governi, che in Italia non è migliorata negli ultimi anni”.

 

Il presidenzialismo sarebbe quindi inutile? “Potrebbe anche essere controproducente. Un cortocircuito non è da escludere. Senza allarmismi, va detto che alcuni precedenti di elezione più o meno diretta del presidente hanno generato una confusione tra i vari poteri dello stato che è stata la premessa di svolte autoritarie: penso alla Repubblica di Weimar, alla Spagna degli anni Trenta, al Cile di Allende”.

 

Quale sistema, allora, per l’Italia? “La strada maestra è quella indicata da Roberto Ruffilli, una democrazia governante in cui alle elezioni venga investito un capo del governo, connesso alla maggioranza parlamentare che dovrebbe sostenerlo per un’intera legislatura”.

 

Il modello del sindaco d’Italia, come si dice? “Il voto nei grandi comuni, o anche quello per le regioni, può rappresentare un’ispirazione. Ma aggiungo che le riforme, di per sé, non bastano. Vanno accompagnate e corroborate da prassi e consuetudini: in Germania o in Gran Bretagna l’indicazione del capo dell’esecutivo esce nettamente dalle urne, quando si vota, sebbene non ci siano cognomi sulle schede elettorali. E poi c’è la questione del potere dei cittadini nella scelta dei propri rappresentanti. I listini bloccati sono scandalosi  e vanno superati”. 

 

Si può fare, dunque? “Purché ci sia serietà d’intenti. Riforme così incisive vanno realizzate attraverso un comitato bipartisan immune dalle turbolenze politiche contingenti, una sorta di bicamerale che non ragioni nella logica dei rapporti di forza del momento tra maggioranza e opposizione. Se queste condizioni ci fossero, si dovrebbe tentare. Anche perché un riassetto istituzionale che stabilizzi i governi sarebbe un po’ l’approdo ultimo del Pnrr: rendere l’Italia una democrazia funzionante, anche in virtù del fatto che un premier eletto direttamente sarebbe la premessa per avere governi che durano per un’intera legislatura, con un mandato per fare le riforme su un programma chiaro. Una democrazia decidente, dunque: che forse è il modo migliore per opporsi alla fascinazione sempre più diffusa per i regimi autoritari”.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.