Il caso

Letta fra Mario e Chiara: il Pd cercava l'assist di Draghi, ha trovato quello di Ferragni

Simone Canettieri

Dal Meeting di Rimini nessuna sponda del presidente del Consiglio ai dem. In compenso l'influencer imprenditrice su Instagram attacca Meloni. Il Nazareno: "Chiara è una progressista"

Cercava l’assist di Mario Draghi, ha trovato quello di Chiara Ferragni. Enrico Letta è  stato fra i primi a commentare le parole di “grande orgoglio italiano” del premier al Meeting di Cl a Rimini. Con tanto di pensiero a “Salvini, Berlusconi e Conte si sono aggiunti il 20 luglio a Meloni per farlo cadere”. E però il discorso dell’ex banchiere ha tenuto conto zero del partito che – insieme ad Azione e Italia viva –  lo ha difeso pubblicamente nelle ore della crisi, dedicandogli anche manifesti e card social abbastanza eloquenti una volta accaduto il patatrac. Il presidente del Consiglio, quasi osannato dal popolo di Comunione e liberazione al contrario del segretario Pd, non ha fatto menzione di chi lo ha disarcionato. Anzi, quel passaggio sull’“Italia ce la farà, con qualsiasi governo” è sembrato una sdrammatizzazione del pericolo meloniano, anche se poi il premier  ha bacchettato sul rischio “isolamento”. Eppure il Nazareno in questo mese ha prima accarezzato l’Agenda Draghi, come metodo e come contenuti, poi al momento delle liste ha anche  pensato di chiedere la disponibilità  ad Antonio Funiciello, capo di gabinetto di Palazzo Chigi, e a Roberto Garofoli, sottosegretario alla presidenza. In compenso sempre ieri è spuntata Chiara Ferragni, “una progressista”, come la chiamano nel Pd.  


Non è la prima volta che la politica Netflix scende in campo contro gli avversari dei dem. Questa volta la regina di Instagram è andata dritta addosso a Giorgia Meloni (“FdI ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni”) e subito le donne del Nazareno (Laura Boldrini, Cecilia D’Elia, Alessia Morani, Valeria Fedeli) si sono precipitate a dirle brava Ferry. Sul ddl Zan era stato Fedez ad armare i follower, da sempre più avvezzo alla pugna. 


L’influencer-imprenditrice, anche con Nicola Zingaretti segretario, non si è tirata indietro sull’omicidio di Willy (e il retroterra fascista dell’omicidio), ma pure sull’obbligo delle mascherine quando scoppiò la pandemia. E poi, certo, di recente c’è stato l’incontro con la senatrice a vita Liliana Segre al memoriale della Shoah. Gesti che Letta ha ovviamente apprezzato, anche se assicurano dal Nazareno che non ci sia mai stato nessun contatto. E però Ferragni contro Meloni per il Pd è “un aiuto, una scelta coraggiosa” che non si butta. Soprattutto nel giorno in cui Draghi insomma si è sottratto dallo scontro elettorale, senza dare sponde né al Terzo polo né appunto al centrosinistra. Il segretario del Partito democratico si limita al plauso del premier e confessa al contrario che non si aspettava un altro tipo di intervento: “Se c’è un modo per preservare Draghi, sperando che possa tornare utile di nuovo al paese, bisogna proprio evitare che diventi la bandierina di questo o quel partito”.


Una spiegazione ineccepibile che Letta accompagna con una riflessione sul Terzo polo: “Calenda è contro l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, Renzi non votò nemmeno la riforma Cartabia. Altro che draghiani”. E dunque ancora si litiga sull’eredità del premier che continua a dire ai suoi collaboratori di non nutrire ambizioni particolari per il futuro. Il Pd rimane un partito complicato. E lo sanno pure a Palazzo Chigi dove dal cerchio ristretto dell’ex banchiere esce fuori una battuta rivelatrice: “Ormai da tempo sentiamo molto più Meloni che Letta”.


D’altronde, come si sa, la leader di FdI si è creata ormai un canale privilegiato con il mondo del premier, magari anche solo per confrontarsi su fatti, dossier e persone. D’altronde ormai gira così. E Forse anche al Pd ne sono consapevoli: non arriveranno aiuti particolari in quest’ultimo mese dal capo del governo. Non rimane dunque che Ferragni, diventata nuovo punto di riferimento fortissimo dei progressisti. Almeno per 24 ore. Il tempo di una storia su Instagram.

  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.