(foto Ansa)

Elogio della medietà di Enrico Letta

Giuliano Ferrara

E’ inviso ai sognatori vaneggianti in cerca di novità, ma in fondo un governo con il segretario del Pd is megl’ che uno a guida Meloni

Che cosa ha mai fatto di male il Partito democratico, a parte una medietà poco espressiva della sua voce, che confina con la mediocrità, e argomenti piuttosto convenzionali, scarsi di fantasia politica, nel definire il proprio ruolo nella società italiana (la sbobba dei diritti e dell’ambiente, ortodossie di mercato, draghismo un po’ spento e ripetitivo, inquietudini laburiste generiche)? Nel 2018 aveva perso le elezioni al 18 per cento, dopo una fase di governo attiva e riformatrice ma contestata e sabotata al suo interno dalla famigerata “accozzaglia” per via di certe verbosità di Renzi e dei renziani alla guida del partito, e aveva ceduto il passo a un’ondata di demagogia sbruffona culminata nel governo Salvini-Di Maio, celebrante il Conte I.

Poi ci ha liberati dell’orrore grottesco dei “pieni poteri” e di un clima infame nell’unico modo possibile, il Bisconte. Ha ottenuto notevolissimi risultati nella pandemia, ha contrastato il declino economico con successi e sconfitte ma mediamente bene, infine ha completato una legislatura nata storta con il raddrizzamento e la tenuta forte in politica estera e nella gestione dei fondi europei grazie alla personalità carismatica di Mario Draghi e alla missione di unità nazionale conferitagli da Mattarella, in ovvia convergenza con i grillozzi provvisoriamente redenti. Ha cercato di salvare l’effetto Draghi, mandandolo al Quirinale, senza successo e tra le incomprensioni, e ha subìto la ovvia decomposizione del quadro di governo, fino all’anticipo elettorale con una legge che avvantaggia i coalizzati. Ha perseguito l’obiettivo di una coalizione competitiva, comprensibilmente, fallendo non certo per sua colpa esclusiva, diciamo così. Ora punta al voto utile e a un argine nei confronti di una destra arrembante. Ha fatto e fa quello che doveva, e non è poco.

 

Invece moralisti piccini, filosofi ingombranti nei media vocianti, un polo liberale pieno di buone intenzioni che al massimo darà all’opinione benpensante una pipata di cocaina pragmatista, si alleano con gli argomenti ovvi della destra e stroncano ogni minuto, sistematicamente il Pd. Al governo senza legittimazione popolare diretta, il che può succedere in una democrazia parlamentare; incapace di rappresentare la rabbia del popolo, ma sono trent’anni, dalla crisi dei vecchi partiti e dall’avvento del Cav., che la geografia sociale del paese è cambiata, e non abbiamo aspettato Trump in America per sapere che qui da noi è nato un multiforme soggetto populista e antipolitico efficace nella competizione per il consenso popolare, con Mirafiori berlusconiana dal 1994, il nord-est enfaticamente produttivista nelle mani dei leghisti già secessionisti e antieuropei, il sud nelle mani dei capibastone della demagogia pauperista e forconiana, il tutto con una magistratura impegnata nel progetto demente di scombussolare le regole e le garanzie contro tutto e tutti: fare fronte senza accodarsi, tentare riformismo e cambiamenti costituzionali, infine arginare e svuotare il grillismo e il salvinismo, bè, era una soluzione obbligata per chi è faticosamente uscito dall’accozzaglia chiassosa e impotente dell’antiberlusconismo e si è dovuto poi confrontare con la gestione “tecnica” delle crisi, foriera di tenuta nazionale e internazionale ma non di consenso popolare.

Sono invisi ai sognatori vaneggianti, ai predicatori di ideali e bellurie, a un sacco di gente in buona fede innamorata delle novità che non sopporta la medietà e il professionismo, certo non esaltante, di un ceto politico invecchiato e stanco. Va bene. Si capisce, un’opinione sbrindellata ha bisogno di un capro espiatorio. Eppure, condividendo paradossalmente un sacco delle idee della destra, yo soy macho latino cristiano y climatoscéptico, penso che un governo Letta sarebbe meglio di un governo Meloni. E’ così semplice.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.