profumo di vittoria?

Meloni studia da cancelliera. Ma nel centrodestra che guarda Palazzo Chigi arrivano le prime crepe

Ruggiero Montenegro

La leader di Fratelli d'italia si fa poliglotta e cerca la legittimazione internazionale. Letta la attacca. Ma in Sicilia FdI deve fare i conti con le tensioni interne tra La Russa e l'eurodeputato Stancanelli che aspirava alla presidenza, mentre la coalizione fatica a trovare l'intesa sul dopo Musumeci

Un occhio alla Sicilia, l'altro alle cancellerie europee. Sullo sfondo Palazzo Chigi, che ormai non è più un'ambizione ma una possibilità. Giorgia Meloni ne è consapevole e fa le prove da statista, diventa poliglotta e cerca di accreditarsi a livello internazionale: "La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti-ebraiche", ha detto ieri la leader di Fratelli d'Italia, "il partito politico dei conservatori italiani", come lei stessa lo ha definito in un video postato sui suoi canali social in tre lingue, francese, inglese e spagnolo. Si rivolgeva direttamente alla stampa estera. Nel frattempo, dopo che Nello Musumeci si è fatto da parte, questa volta sembra in maniera definitiva, il suo "colonello" siciliano, Ignazio La Russa era a lavoro per trovare il candidato alla presidenza siciliana. 

 

Probabilmente è la prima volta che Meloni marca una distanza così netta dalla tradizione politica di cui è in qualche misura erede, e per cui è stata tante volte attaccata: mai troppo netta, sempre un po' ambigua, era l'accusa. Così la leader sovranista prova a scrollarsi di dosso i suoi fantasmi, ma anche a rassicurare l'Europa. Non ci sarà alcuna svolta autoritaria nel caso diventasse premier, nessun pericolo per la democrazia né per l'euro. "Sciocchezze ispirate dal potente circuito del centrosinistra", afferma nel suo post la numero uno di FdI. Ma anche la vicinanza al modello ungherese, i richiami continui all'Europa dei banchieri o una non meglio precisata intenzione di rivedere gli accordi del Pnrr, hanno probabilmente contribuito ad alimentare certe interpretazioni.

Un nuovo cambio di passo che arriva pochi giorno dopo l'intervista alla tv americana Fox. Un segnale, un altro, su cui subito si è lanciato Enrico Letta: “Giorgia Meloni sta cercando di riposizionarsi, di incipriarsi, di rifarsi un’immagine. Un'operazione abbastanza complicata quando i punti di riferimento sono la Polonia e Orban”, ha attaccato il segretario del Pd, che strategicamete punta anche al dualismo con FdI per accrescere il consensi del suo partito. Così gli schemi classici si ribaltano: "Al netto della misoginia e dell'idea secondo la quale una donna dovrebbe essere attenta solo a trucchi e borsette, il vostro problema è che non ho bisogno di ‘incipriarmi' per essere credibile", la risposta piccata di Meloni.

 

Che probabilmente ieri aveva altro a cui pensare, a una coalizione di centrodestra che fuori ostenta unità e presenta i programmi ma all'interno, sotto la patina, deve fare i conti con beghe e spartizioni: in Sicilia la storia va avanti ormai da mesi tra insulti e ultimatum. Solo che questa volta le tensioni sono arrivate fin dentro Fratelli d'Italia con l'eurodeputato Raffaele Stancanelli che ha accusato Ignazio La Russa di ostacolare la sua candidatura alla presidenza, sebbene gradita agli alleati: "Se fosse stato così, non avrebbe avuto la vigliaccheria di attaccare me anziché Giorgia Meloni",  la risposta dell'ex ministro della Difesa affidata a Repubblica Palermo, che dà il termometro della situazione, e svela anche le insidie che possono precedere una vittoria. C'è chi inizia a battere cassa, aggiungendo un ulteriore elemento di tensione nella vicenda siciliana che interseca quella nazionale.

 

Eppure all'inizio della settimana si era trovato un quasi accordo tra i partiti. Nessun veto sui nomi, nemmeno su Musumeci osteggiato da Lega e Forza Italia, e un tavolo a Roma previsto per ieri con la scelta affidata ai leader nazionali. Quel tavolo è saltato, ed è ripartita la bagarre. I forzisti, Gaetano Miccichè in testa, continuano a rivendicare la scelta: l'ex ministro Stefania Prestigiacomo su cui - dichiara l'uomo del Cav in Sicilia - ci sarebbe l'ok anche della Lega. E questo nonostante la deputata si fosse recata nel 2019 insieme a Nicola Fratoianni e altri parlamentari sulla Sea Watch contestando la linea di Matteo Salvini, ai tempi ministro degli Interni, sui migranti, Acqua passata, a quanto pare. Ma il sospetto che dietro la scelta del Carroccio ci siano altre dinamiche, di coalizione, è forte. Mentre restano aperte altre partite per le regionali, dal Lazio alla Lombardia.

 

Così il caso è tutt'altro che chiuso. "Accordo Lega-Fi per la candidatura in Sicilia? A mezzo stampa forse, noi non abbiamo fatto alcun accordo e non facciamo intese sulla stampa", dice allora Ignazio La Russa che non si spiega le ostitlità degli alleati verso il governatore uscente, il nome su cui ha sempre puntato FdI per l'isola. La sensazione, lascia intendere, è che non tutti stiano remando nella stessa direzione. "La farneticante minaccia di Miccichè di rompere la coalizione di centrodestra in Sicilia potrebbe diventare realtà", Meloni certifica con un tweet che sa d'avvertimento: "Una cosa non ci si può chiedere: sostenere un candidato che saliva sulla Sea Watch con il Pd". Sarà il profumo della vittoria, ma a quanto pare non si litiga solo a sinistra. 

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