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2018-2022

La linea estremista da cui difendersi. Chiacchiere con Di Maio

Claudio Cerasa

È ora di un whatever it takes contro tutti i populismi. Il ministro degli Esteri racconta la sua idea di governo e i pericoli che si possono correre nel coccolare l'antieuropeismo. Le coalizioni larghe? Il riformismo passa dai sacrifici 

Immaginate cosa avrebbe detto il Luigi Di Maio del 2018 se avesse visto il Luigi Di Maio del 2022: fuori dal Movimento 5 stelle, dopo esserne stato il capo politico, difensore fedele dell’agenda Draghi al punto di arrivare a rompere i rapporti con il suo vecchio partito, e candidato ora alle politiche nelle liste del Pd, il vecchio partito di Bibbiano, insieme con il nuovo compagno d’avventura Bruno Tabacci, dopo essere stato negli ultimi quattro anni e mezzo l’unico politico sempre presente, come ministro, in tutti e tre i governi che hanno giurato dal 2018 a oggi di fronte a Sergio Mattarella. Ministro dello Sviluppo e del Lavoro, nel Conte 1. Ministro degli Esteri, nel Conte 2. Ministro degli Esteri, ancora, nel primo e ultimo governo Draghi. Immaginate cosa avrebbe detto, nel 2018, il vecchio Luigi Di Maio se al termine di una giornata come quella di ieri – subito dopo cioè aver letto quanto comunicato dal Pd dopo l’accordo raggiunto tra Enrico Letta e Carlo Calenda, “nelle prossime liste elettorali il Partito democratico offrirà diritto di tribuna in Parlamento ai leader dei diversi partiti e movimenti politici del centrosinistra che entreranno a far parte dell’alleanza elettorale” – avesse sentito il Di Maio del 2022 fare un elogio dei sacrifici, dei compromessi, degli accordi di sistema.

 

Immaginate cosa avrebbe detto il Di Maio del 2018 se avesse sentito il ragionamento offerto ieri pomeriggio dal Di Maio del 2022 al Foglio. Un ragionamento più o meno di questo tipo. Essere fedeli all’agenda Draghi significa essere fedeli anche a uno spirito di sacrificio. Essere fedeli a uno spirito di sacrificio significa essere responsabili. Essere responsabili significa anche rinunciare a qualcosa per far fare un passo in avanti all’Italia. Significa trovare un punto di incontro, anche a costo di fare qualche sacrificio, tra chi ha idee simili sul futuro dell’Italia. “Nelle prossime ore – dice al Foglio – apriremo una riflessione di coalizione e all’interno di impegno civico. I programmi si fanno tutti insieme”.

 

Ne ha viste molte, Luigi Di Maio, e molte idee ha cambiato in questi anni per sua stessa ammissione. Ma soprattutto li ha visti lavorare tutti o quasi accanto a lui e sa le ragioni per cui, oggi, vale la pena fare qualche sacrificio per combattere insieme nemici che Di Maio ha conosciuto bene durante i suoi anni al governo. Da Giuseppe Conte a Matteo Salvini. “Sarà una campagna elettorale difficile, tosta – dice Luigi Di Maio in questa chiacchierata con il Foglio  – ma nulla è già scritto. Il 40 per cento degli italiani, oggi, non ha ancora scelto per chi votare. E per parlare a quella fetta di elettorato, un elettorato riformista, moderato, desideroso di capire con nettezza quali sono le visioni del mondo delle forze politiche, c’è solo un modo: mostrare pragmatismo, mostrare serietà, mostrare quali sono i princìpi per cui oggi vale la pena impegnarsi in una battaglia elettorale”.

 

E sarebbero? “Il punto è semplice. Tutti coloro che hanno scelto di far cadere il governo Draghi lo hanno fatto perché guidati da una base irreversibile di estremismo. E l’Italia, in questi anni, ha compreso con chiarezza cosa significa assecondare l’estremismo. Significa dividere un paese. Significa isolarlo. Significa allontanarlo dall’Europa. Significa renderlo più vulnerabile alle minacce esterne”. 

 

Sta dicendo, ministro, che chi ha fatto cadere il governo Draghi lo ha fatto per fare un favore a Vladimir Putin? “Ci sono più ombre che luci su questa vicenda e d’altronde non potrebbe essere altrimenti quando il leader di una forza politica non considera uno scandalo accettare l’idea di farsi pagare un viaggio in Russia dall’ambasciata russa. I legami tra le forze politiche e il mondo russo sono da accertare. Per questo, quando inizierà la nuova legislatura, dovremo istituire una commissione di inchiesta che verifichi i legami fra leader e partiti politici italiani e mondi politici economici e finanziari russi. Mi auguro ci possa essere l’unanimità su una legge per istituirla”. Si fa presto a dire battaglia contro l’estremismo. Ministro, cosa intende?

 

“Estremismo è avere una posizione ambigua in politica estera, come è per esempio il caso del partito di Matteo Salvini. Estremismo è non considerare uno scandalo ricevere, come è successo a Giuseppe Conte, un endorsement da parte di un ministro russo a una bozza di risoluzione sull’Ucraina presentata in Parlamento dal partito di Conte. Estremismo è avere una linea politica, come fa spesso il partito di Conte, e poi negarla il giorno dopo. Estremismo è, come ha fatto spesso Salvini in questi anni, legare la propria cultura di governo all’andamento dei sondaggi. Estremismo è non capire che in una fase complicata come quella che sta vivendo l’Italia l’immigrazione non va fermata ma va governata e va inserita in un contesto di legalità compatibile anche con le esigenze dei nostri imprenditori, che da mesi chiedono al governo una mano per far fronte alla manodopera che non c’è. Estremismo è, e in questo caso parlo del partito di Giorgia Meloni, accettare di correre alle elezioni con partiti ambigui sulla politica estera e accettare di presentarsi di fronte agli elettori con il profilo di chi considera l’Europa utile solo quando si muove come se fosse un bancomat. Estremismo significa mettere in campo promesse finalizzate solo ad aumentare in modo esponenziale il nostro debito pubblico. Estremismo significa mettere in discussione i nostri impegni con l’Europa sul terreno del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Estremismo è questo. E’ non lavorare per avere un’Europa più unita, più solidale, più integrata, capace di rispondere in modo solido e compatto alle grandi sfide della contemporaneità. Faccio un esempio”. Prego.

 

“L’Italia, in questo momento, sta combattendo una battaglia in Europa per mettere un tetto al prezzo del gas. Naturalmente, un governo per gli affari correnti non ha la forza di usare tutte le sue cartucce. Ma potrebbe avere una forza maggiore se tutti i partiti, anche quelli che non hanno fatto parte della maggioranza Draghi, firmassero una lettera per chiedere alla Commissione europea di portare avanti questa battaglia. Invierò nelle prossime ore una lettera a tutti i capi delle forze politiche per sostenere questa battaglia. La difesa dell’interesse nazionale si fa con i fatti, con la cultura di governo, non con gli slogan e con la promozione della cultura del no”. Smascherare i populisti, già. Se il Di Maio del 2018 avesse ascoltato il Di Maio del 2022 cosa avrebbe pensato? “Il Di Maio del 2018 non avrebbe mai creduto di dover affrontare, al governo, una pandemia e una guerra”.

 

Solo questo? “No, naturalmente. Il Di Maio del 2022 sa perfettamente che nel passato ha commesso errori, alcuni anche gravi, e sa che ha combattuto alcune battaglie che non andavano combattute. Ma il Di Maio del 2022 sa anche un’altra cosa. Sa che per dare una mano al suo paese occorre trasformare la cultura del buon governo e del rispetto delle istituzioni nella spina dorsale di un progetto riformista. E sa, soprattutto, che dare risposte semplici a problemi complessi significa non avere idea di quanto i problemi complessi abbiano bisogno non di slogan ma di lavoro duro. Il nostro impegno oggi non è soltanto difendere l’azione di governo e  la sua agenda, ma è anche fare qualcosa di più: provare a smascherare il populismo mostrando con chiarezza che differenza c’è tra una politica fatta in nome dell’irresponsabilità e una fatta in nome della responsabilità.

 

E so che il Di Maio del 2018 non lo avrebbe detto, ma il Di Maio del 2022 non ha dubbi: l’Italia del futuro ha bisogno di opporsi alla cultura dell’odio e a quella del Vaffa e in nome di questa battaglia più è largo il fronte dei riformisti e più possibilità ci saranno per vincere la nostra sfida, pur sapendo cosa questo vuol dire in termini di sacrifici, di compromessi. E’ questo ciò che serve all’Italia per provare a custodire il posizionamento, l’agenda economica e il metodo di lavoro del metodo Draghi. E questo che serve all’Italia per provare a evitare ciò che si può evitare: contrastare gli estremismi di ogni colore, a costo di fare qualche sacrificio”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.