Matteo Salvini e Giorgia Meloni (Ansa)

idee per orientarsi

Le elezioni ci ricordano che i populisti sono i migliori alleati dei poteri forti

Claudio Cerasa

La caduta di Draghi ha messo di fronte alle forze sovraniste una doppia verità: il complottismo globalista  è un grande imbroglio e solo l’irresponsabilità della politica può rimettere l’Italia nelle mani sovrane dei signori dello spread

Arriverà un momento della campagna elettorale in cui la destra sovranista, nazionalista e inevitabilmente populista proverà a conquistare ulteriori consensi mettendo in atto una disciplina consolidata tipica di chi lotta contro i mulini a vento. La disciplina, grosso modo, suona così. La destra non ha paura dell’establishment. Non avere paura dell’establishment significa combattere contro i signori della finanza. Combattere contro i signori della finanza significa denunciare i danni creati dal globalismo. Denunciare i danni creati dal globalismo altro non vuol dire che smascherare le solite trame fitte dei veri nemici del popolo: i cugini di Soros, i fratelli della speculazione, in altre parole i poteri forti. I poteri forti, già. La destra che regolarmente alle elezioni tende a presentarsi come anti establishment, arrivando a considerare come parte dell’establishment da combattere anche buona parte della così detta casta dei competenti, è una destra che però mai come oggi avrà una certa difficoltà a dimostrare il suo assunto, un mondo inesorabilmente governato dai poteri forti, per via di un piccolo dettaglio, che non sarà sfuggito alla destra molto di lotta e chissà se di governo.


E il dettaglio è questo: la dimostrazione plastica di quanto contino i poteri forti in Italia la si è avuta nei giorni della crisi di governo Draghi e quella crisi passerà alla storia anche per essere stata una formidabile prova di debolezza dei così detti poteri forti. Lo ricorderete. Tutti, ma proprio tutti, ma proprio tutti hanno espresso l’irrefrenabile desiderio di vedere confermato Draghi al governo. L’irrefrenabile desiderio della classe dirigente italiana è stato bollinato dalle grandi cancellerie internazionali. Le grandi cancellerie internazionali sono state sostenute nel proprio tentativo di non perdere Draghi da alcuni squali della finanza che hanno contribuito a far aumentare lo spread nei giorni della crisi. Ma nonostante tutto questo le cose sono andate come sappiamo: il governo Draghi è caduto, i poteri forti hanno perso, il partito del pil non ha toccato palla, i mercati non hanno reagito in modo isterico alla caduta del loro beniamino e la parola è stata rapidamente offerta agli elettori.

 

Le lezioni utili che si potrebbero dedurre da questa storia sono tre e sono tutte interessanti. La prima lezione riguarda la caduta di un mito molto caro al partito unico del complottismo: i poteri forti in grado di fare e disfare i governi fottendosene dei desiderata degli elettori. La seconda lezione, più importante, riguarda la vera ragione per cui negli ultimi giorni i mercati hanno mostrato una certa fiducia nel futuro del paese nonostante la probabilità non bassa che a ottobre l’Italia passi dalla stagione dell’anti populismo modello Draghi alla stagione del neo populismo modello Meloni-Salvini. E la ragione è semplice: l’Italia ha una serie di vincoli che deve rispettare, vincoli detestati dai populisti, ma è proprio grazie a questi vincoli che un paese molto indebitato può gestire senza turbolenze eccessive delle fasi di instabilità come quelle vissute in questi giorni dal nostro paese, in un momento di grande instabilità generale, tra guerre in corso, inflazione in crescita, recessione alle porte.

Sono i vincoli odiati dai populisti ad aiutare i populisti a non avere spade di Damocle sulla testa in campagna elettorale, primo paradosso, e in prospettiva futura, secondo paradosso, sono proprio le politiche dei populisti a essere le uniche in grado di ridare una nuova centralità ai vecchi poteri forti e ai famigerati signori dello spread. E non ci vuole molto a capire perché: un paese con un enorme debito pubblico, ecco la terza lezione, può tenere a bada il suo debito solo a condizione che la politica usi il debito per stimolare la crescita (per esempio investimenti) e non per assecondare i propri elettori (per esempio pensioni).

E dunque eccolo il paradosso finale: in una stagione in cui i poteri forti contano poco o nulla (vedi la caduta di Draghi) solo i populisti hanno in mano le chiavi per far tornare i poteri forti a contare qualcosa. E per farlo la strada è esattamente quella imboccata in campagna elettorale da Meloni, Salvini e anche dal Cav.: promettere agli elettori di far aumentare il debito pubblico non per stimolare la crescita ma per assecondare l’appetito dei propri follower. Senza rendersi conto che in un paese molto indebitato basta un nulla, basta un’irresponsabilità, per rimettere il destino dell’Italia nelle mani sovrane di chi controlla magnificamente il nostro debito pubblico. Populismo e poteri forti, che coppia da sballo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.