Palazzo Chigi

Draghi contro le menzogne. "Non ero stanco. Hanno provato a farci cadere mille volte"

Bossi: "Una stronzata cacciare Draghi"

Carmelo Caruso

All'ultimo Cdm del premier i ministri prendono le distanze dai partiti. Lui: "Volevo completare il lavoro". Vincono i tassisti. Stralciato articolo. Il fantasma del premier sulla campagna elettorale

Erano felici. Applaudivano un funerale di governo. Erano soddisfatti. Saranno ricordati per qualcosa. E si sono pure alzati in piedi, deputati, ministri, sottosegretari, quando Mario Draghi, alla Camera, ha annunciato: “Sto per recarmi al Quirinale per comunicare le mie determinazioni”. Sergio Mattarella ha sciolto il Parlamento. Si vota il 25 settembre. E’ ufficiale. Il governo Draghi rimane in carica e avrà gli “strumenti per intervenire sulle esigenze presenti” ha spiegato il capo dello stato. Per cercare di sporcarlo, partiti e leader stanno dicendo che “aveva le scatole piene”, che “era stanco”. E lui quando lo ha sentito ha detto: “Non è vero. Non è vero!”. Ha ricordato che hanno provato a fare cadere il governo “mille volte”. Anche il Pd lo ha mandato sotto sull’Ilva. Draghi non uscirà di scena. E’ l’uscita che lo fa entrare. Sarà infatti il fantasma della Repubblica, il più evocato in campagna elettorale. “Volevo un mandato chiaro  per  completare il lavoro”.


E pensare che diceva sempre “niente sentimentalismi”. C’è chi dice commozione, c’è chi dice che ci fosse, in quella battuta, il suo umorismo che non tutti sempre comprendevano: “E’ troppo sottile”. E’ da giorni che Draghi parlava di “cuore”, dalla battuta alla stampa estera sul cuore del banchiere centrale (tra un cuore di un giovane e quello di un banchiere centrale va preso quello del banchiere centrale. “Dottore, non lo sa? Non è stato mai utilizzato”).

 

Nel giorno delle sue dimissioni, annunciate alla Camera, ha ripetuto la frase, ancora, “anche i banchieri centrali hanno un cuore”. Enzo Amendola, che è stato più di un sottosegretario agli Affari europei e poco, ma sul serio poco, meno di un ministro degli Esteri racconta che “di mondo ne ho girato, ma non avevo mai visto un italiano così rispettato come Draghi nel mondo”.

 

Giancarlo Giorgetti, al momento delle dimissioni, si è alzato in piedi. E’ stato accusato di ipocrisia. Si è dovuto difendere sia da destra sia da sinistra. A destra ha risposto: “Io applaudo chi se lo merita e Draghi è un uomo che merita i miei applausi”. A sinistra ha replicato “è stata una decisione di partito. Noi della Lega siamo un partito serio”. La Lega non si è spaccata. Per i leghisti, come lui, quel  partito è come la chiesa per gli uomini di fede. In latino si dice che “extra ecclesiam nulla salus”.

 

Umberto Bossi, che pure è il fondatore della Lega, lo ha chiamato la sera prima del voto decisivo al Senato e gli avrebbe detto: “Se mandate via Draghi commettete una stronzata”. E Giorgetti: “Non dirlo a me…”. Dicono che prima di mettere la fiducia sulla risoluzione Casini, Draghi si fosse convinto che si potesse continuare. Il Pd, al Senato, lo confermava, “per il bene dell’Italia, e di Franceschini, possiamo farlo”.

 

A “scartare”, usano questo termine al governo, sono “stati Salvini e Berlusconi”. Hanno fatto i loro conti. Giorgia Meloni aveva già twittato su Draghi che “chiedeva i pieni poteri”. Entrambi, Salvini e Berlusconi, hanno capito che avevano due strade: “Se restiamo al governo non la reggiamo. Se vinciamo alle elezioni è tutto da vedere che il premier lo faccia lei”. Voi cosa avreste fatto? Non si può dire che non sia il (loro) bene. Edoardo Rixi, della Lega, dice che l’errore di Draghi è stato uno: “Ha ceduto la paternità del draghismo al Pd”. E dire che il Pd, in 18 mesi, si lamentava sempre che il cuore di Draghi battesse per il centrodestra. Di chi è il cuore di Draghi? In Cdm, ieri, quasi tutti i ministri hanno recitato la parte. Hanno pianto il vivo. Garavaglia e Giorgetti non hanno preso la parola. Non hanno detto nulla. Draghi ha fatto i complimenti al suo “soprasegretario” Garofoli: “Il più bravo”.

 

Era in pratica una riunione di ministri nomadi (Brunetta e Gelmini hanno lasciato Forza Italia, Carfagna quasi, Di Maio ha piantato la sua nuova tenda, D’Incà resta con Conte ma con l’anima in transito) Draghi l’ha fatta breve:  “Ci sarà ancora tempo per i saluti. Ora rimettiamoci al lavoro”. Il dl Concorrenza il 25 luglio arriva alla Camera senza l’articolo sui tassisti. In Italia il clacson vale più di un dpcm. Qui sono i tassisti gli unici ad avere i pieni poteri. I balneari, i campieri con il secchiello, a cui ci siamo dedicati per mesi, paradosso, hanno capito cosa significa non fare le cose. Senza la riforma rischiano di perdere tutto. Si applicherà la sentenza del Consiglio di stato che ha stabilito la decadenza delle concessioni. A Palazzo Chigi prevedono: “Ci divertiremo, in questi mesi”.

 

E vogliono dire che sarà interessante vedere il prossimo governo occuparsi di pandemia (non è certo finita) stoccaggi di gas, inflazione, superbonus. In questo ha ragione Silvio Berlusconi a dire, alla Stampa, che “Draghi aveva le scatole piene”. Ha sempre avuto le scatole piene di chi adultera il vino della verità, di chi perde tempo, di chi parla e scrive troppo. Aveva le scatole piene della “posizione ondivaga sulla Russia”. Aveva le scatole piene di chi ha provato a farci cadere “mille volte, mille volte”. Diciotto mesi fa, quando era evocato, “Dove sta Draghi?” si definiva un uomo “impegnato”. Da domani la politica italiana non si divide più tra destra e sinistra ma tra chi “si è impegnato” a fare cadere il governo Draghi” e chi sperava che continuasse.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio