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Contraddizioni

La via di Conte alla stabilità è l'instabilità: un ossimoro

Salvatore Merlo

Dalle “urgenze non urgenti” alla “sfiducia con fiducia”. Una selezione lessicale del perché Conte non riesce a rappresentare il suo partito

Mercoledì spiegava che “le urgenze che abbiamo posto a Draghi non sono urgenti”, dunque subito dopo manifestava la sua sfiducia al governo votandogli la fiducia. Poi spiegava anche al sindaco Roberto Gualtieri il suo “dissenso favorevole” al termovalorizzatore di Roma. Suggerendogli una tecnologia sperimentale, quella dell’ossido combustione, “che consiste in un fuoco senza fiamma”. Così con il “fuoco senza fiamma”,  le “urgenze non urgenti”, il “dissenso favorevole”  e la “fiducia con sfiducia” che si aggiungono alle care e vecchie “armi disarmate” (o difensive) ecco che Giuseppe Conte, eroe degli sconfortati che non trovano mai la posizione comoda, si consegna sempre di più e con frequenza a piccoli capolavori lessicali.

 

Ad esercizi di scomposizione della materia, persino. All’arte di dire una cosa che contiene, grossomodo, il suo contrario. In pratica alla ginnastica dell’ossimoro, che non è necessariamente un’attività irriflessiva o involontariamente comica, sebbene lo sia diventata in questi anni con il contributo decisivo proprio di Conte e del M5s. Come dimenticare, d’altra parte, che proprio loro battezzarono la  legislatura con il sublime “obbligo flessibile”. Ovvero quella trovata che fu, al tempo gialloverde, l’invenzione grillina che a proposito di vaccini salvava la capra della salute pubblica con i cavoli no vax. 
Ma quello di Conte non è il gioco dei due forni. Non è la pretesa di avere vantaggi sia dalla moglie ubriaca sia dalla botte piena. Non è la doppiezza democristiana. Né l’antica scienza politica che permetteva a Berlinguer di essere comunista sotto l’ombrello della Nato.

 

Il “fuoco senza fiamma” e la “sfiducia con fiducia” nascondono e rivelano il disagio reale che nasce dall’incontro e dall’alleanza, nelle istituzioni, tra l’esigenza di governare e l’ultimo rantolo antisistema del grillismo. La convivenza con una casta di ex anticasta in disarmo che Conte non riesce a rappresentare. Perché semplicemente non è come loro. E anzi incarna lui stesso un ossimoro. Avvocato mellifluo, verboso, profumato e pacato alla  guida dell’ultimo assalto di una banda di semianalfabeti col coltello tra i denti. Un mediatore costretto ad esagitarsi. Tuttavia, questo destino al quale Conte si è condannato, il destino d’incarnare il pesce asciutto, merita solidarietà sul piano umano.

 

Persino Mario Draghi infatti, che ovviamente capisce il disagio di Conte, si è rifugiato nell’espressione ossimorica. Il presidente del Consiglio gli ha fatto sapere, all’incirca, che “lontani staremmo peggio che vicini”. Per rincuorarlo e per incoraggiarlo a stare sotto e sopra, dentro e fuori, a favore e contro. L’ossimoro come via italiana alla salvezza e alla stabilità. Così, assieme alla panna dietetica, alla suocera buona, alla posta celere e alla burocrazia efficiente ora abbiamo anche la pochette affilata. Sguainato il fazzoletto a quattro punte, l’avvocato gridò: avanti grillini!

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.