In trincea elettorale

Perdere a Verona per Meloni sarebbe una macchia, per Salvini invece la tranvata definitiva

Francesco Gottardi

Al ballottaggio veronese: Letta e il Pd sognano il colpaccio. La leader di Fdi la consacrazione. Mentre il segretario della Lega è l’unico in preda agli incubi, che vinca Sboarina o Tommasi

L’Arena come il Colosseo. Perché Verona vale Chigi, di questi tempi. O quanto meno i blocchi di partenza alle prossime elezioni politiche: il ballottaggio tra Damiano Tommasi e Federico Sboarina scotta, travalica la prima città del Veneto per popolazione. Dietro i due candidati ci sono i partiti. E i loro leader. Che da destra a sinistra si giocano una buona fetta di potere contrattuale nelle rispettive coalizioni. Letta e il Pd sognano il colpaccio. Giorgia Meloni la consacrazione. Matteo Salvini è l’unico in preda agli incubi, in un caso o nell’altro.


Sull’Adige, in queste amministrative, la Lega è sempre stata in testacoda. Prima ancora di scendere in campo. Un anno fa Sboarina passava a FdI snobbando il Carroccio: ora attorno a una figura fragile, che a Verona ha governato male – questo è il responso del primo turno –, si decide il futuro del centrodestra. E Salvini non sa cosa sperare. Se il sindaco si riconferma, sarà un trionfo tutto meloniano. Se perde, il segretario potrà giocarsi la carta dell’ “ecco, Giorgia da sola non va da nessuna parte, tanto meno i suoi candidati”. Ma poi lo smacco si consumerà in casa. Di una Lega che stravince quando è Zaia a guidarla. E che prende le sberle, appena il governatore lascia fare a Matteo: alle regionali del 2020, la lista del Carroccio a Verona aveva raccolto il triplo – 18,5 contro 6,7 per cento – di domenica scorsa. Tutti, nel territorio, sanno che per la scelta del futuro sindaco hanno prevalso logiche nazionali. Di larghe intese. Fosse stato per i leghisti locali, invece.


Lo dice anche Flavio Tosi. L’ago della bilancia, da qui al ballottaggio. Mercoledì l’ex primo cittadino è entrato ufficialmente in Forza Italia, la sua principale area di riferimento negli ultimi mesi. “Ora a Verona abbiamo il 24 per cento”, gongola Tajani. “Sono onorato della telefonata di Berlusconi”, replica Tosi. “Nel centrodestra esiste anche un’anima pragmatica e liberale, con cultura di governo: io faccio parte di questa”. E tutti contenti, quasi smaltita la delusione elettorale. Perché il leader di Fare! ci credeva: “Contro Sboarina vinco perché i veronesi conoscono me e conoscono lui”, era il mantra durante la campagna. Focalizzata più sull’avversario di destra – con tanto di querela a carico – che sull’incognita Tommasi. Un errore di valutazione che il terzo incomodo ha pagato caro. E ora rende difficile ogni apparentamento agli occhi degli elettori: Tosi ha tempo fino a domenica per dare il suo endorsement a Sboarina. La sensazione è che la fumata bianca arriverà, perché Forza Italia spinge e gli alleati mal sopporterebbero altre lotte intestine. “Manca solo l’apertura del sindaco”, sottolinea lo stesso Tosi. Come dire: il mio lo sto facendo.


Tutto tace intanto in area Sboarina. Nei prossimi giorni si attende il ritorno in città di Meloni, perché è lei ad aver trascinato la squadra al ballottaggio. Ma per il resto le dinamiche interne sono abbottonatissime. E il candidato di FdI si limita a spaventare i suoi polli: “Verona con Tommasi diventerebbe la capitale dei trans”. Oppure: “Niente di personale contro di lui. Ma non ha mai amministrato in vita sua e prende in giro i cittadini dicendo di essere un civico. Mentre è il cavallo di Troia della sinistra”. Su questo, si intravede un barlume di realtà. Ed è il grande rischio per l’ex centrocampista della Roma. Perché Tommasi, dopo il calcio, è cresciuto sì nell’attivismo di quartiere. Senza colori o tessere di partito. Eppure, chi lo sostiene sta facendo di tutto per salire sul carro. A partire da Letta: “Fare risultato al ballottaggio sarà utile per le alleanze nazionali”. Brividino per ogni elettore del Pd, storico habitué di partite vinte e poi buttate.


Così Tommasi non ne vuole sapere di condividere il palco con i faccioni della politica, da qui al 26 giugno. Mica per ego. Ma se fin qui è stato premiato dal voto, è soprattutto grazie al programma per una Verona altra. Capace di riaccendere entusiasmi e coinvolgimento alla base. “La città dovrà scegliere tra passato e futuro”, ha dichiarato all’Arena dopo il primo turno. Se nei palazzi romani è tutto un test verso il 2023, per i veronesi conta l’hinc et nunc. Vince chi lo capisce meglio.

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