Luciano Violante (Ansa)

La legge elettorale

“Passare al proporzionale conviene a tutti. Anche al centrodestra". Parla Violante

Ruggiero Montenegro

L'ex presidente della Camera: "Il sistema maggioritario non ha garantito stabilità né può garantirla. Il proporzionale rende i partiti più forti e credibili: aiuterebbe anche Lega e Forza Italia a risolvere le loro incertezze identitarie"

“Conviene a tutti, anche al centrodestra: bisogna passare al proporzionale. La legge elettorale maggioritaria non ha garantito stabilità né può garantirla”. Luciano Violante non ha dubbi e indica con chiarezza la strada che, dal suo punto di vista, la politica dovrebbe imboccare per ridare slancio all’intero sistema. A cominciare dai partiti,  spesso costretti all’ambiguità da alleanze improprie, fatte per vincere, non per governare: “Perché nell’esperienza italiana si torna troppe volte, in qualche modo, alla instabilità permanente di forze politiche e singoli parlamentari”. 

E se a dirlo è una figura come quella dell’ex presidente della Camera, uno che al maggioritario non è mai stato ostile (semmai il contrario) tocca fare i conti con la realtà attuale e con la storia. “L’esperienza dimostra che le alleanze elettorali non tengono alla prova del governo. Lo hanno sperimentato tanto Berlusconi quanto Prodi”. 

 

Non siamo più nel dopo guerra quando le forze politiche avevano realmente la capacità di rappresentare e coinvolgere: sta qui il senso del ragionamento di Violante, secondo cui “occorre consentire a ciascun partito di riprendere le fila del rapporto con la propria base”. E questo, prosegue l’ex magistrato, per una serie di ragioni. “La prima è l’identità: se mi presento alle elezioni con un partito che la pensa diversamente da me, devo evidentemente annacquare i miei contenuti”. Così finisce per venir meno il collante e si produce “quella mancanza di senso di appartenenza, da cui deriva un elettorato fluido e ondivago”. Storture che dovrebbero essere corrette “rimettendo al centro l’inclusione dei cittadini”. Altrimenti si finisce per rincorrere finte alleanze o coalizioni, di quelle buone al massimo per una domenica elettorale, non certo per una intera legislatura . E invece il proporzionale, che nella ricetta di Violante prevede una soglia di sbarramento al 3-4 per cento, in modo da garantire  la rappresentatività dei partiti minori, “risponde a queste esigenze, rende i partiti più forti e credibili, in quanto ognuno dovrà delineare la propria identità nella contesa elettorale, senza stemperare le proprie idee. Poi avverrà la sintesi; oggi invece prima c’è la mediazione e dopo il voto si comincia a litigare”.

 

Un modello che solo in questa legislatura, prima di Draghi, ha prodotto due maggioranze di segno opposto. E per di più avendo come perno lo stesso partito, sottolinea Violante. Una bella differenza rispetto alla Germania, preso spesso come riferimento: “Nel contratto tedesco tutti si impegnano a fare la stessa cosa; in quello tra Lega e M5s c’era una sorta di spartizione, senza alcuna condivisione di valori. Una negoziazione permanente, che produce insoddisfazione e rotture”. Considerazioni che tuttavia rischiano di non trovare corrispondenza dalle nostre parti. Anche perché, se da un lato Letta e in una certa misura il cosiddetto fronte progressista hanno mostrato aperture in senso proporzionale, diverso è il discorso per il centrodestra.

Eppure, dice ancora il professore, anche loro potrebbero trarne giovamento: “Non tanto Giorgia Meloni la cui identità, al netto di alcune non secondarie contraddizioni interne a Fratelli d’Italia, è abbastanza definita. Ma Lega e Forza Italia mi pare che abbiano alcune incertezze identitarie al loro interno. Non basta più dire siamo liberaldemocratici, vestito che possono indossare in molti, senza merito”. Una lettura che si accompagna a considerazioni più alte, di tenuta ed efficacia delle istituzioni: “C’è anche e soprattutto una ragione di convenienza per l’intero sistema politico”. Un obiettivo che richiederebbe pure una certa maturità che per esempio leader come Salvini non sembrano dimostrare. “Non sono in grado di dare patenti. Ma credo interessi a ciascuna forza politica avere una legge elettorale che la aiuti a definire la propria identità, e a integrare quella metà dei cittadini che non vota più”