Amministrative e referendum: chi può vincere e chi rischia di uscirne con le ossa rotte

Ermes Antonucci

Salvini e Meloni si contendono la leadership del centrodestra, il Pd punta al 20 per cento, Forza Italia è in difesa, mentre il M5s si prepara a sparire da decine di amministrazioni locali. Il referendum aggiunge ulteriori sfide

Hanno dissimulato la pace, abbracciandosi a Verona per sostenere il sindaco uscente Federico Sboarina, tra sorrisi tirati e denti stretti, ma saranno proprio loro, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, a contendersi la posta in palio più importante di questo fine settimana di elezioni amministrative (quasi 1000 comuni, di cui 26 città capoluogo, nove milioni di elettori chiamati al voto) e di referendum sulla giustizia. Certo, sono elezioni comunali e non nazionali, ma costituiscono comunque un test politico da non sottovalutare (pur tenendo conto della dispersione dei voti dovuta alla presenza di una moltitudine di liste civiche). 

 

Partiamo dunque dai due principali contendenti. Il leader della Lega vorrebbe consolidare la sua leadership del centrodestra ma rischia grosso, fuori e dentro il partito. Fratelli d’Italia punta ad aggredire la Lega al nord, in Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, diventando così il primo partito del centrodestra. Uno degli epicentri principali del test elettorale sembra essere proprio il Veneto. La conferma a Verona di Sboarina (passato lo scorso anno dalla Lega a Fdi) e la sconfitta a Padova di Francesco Peghin, il candidato scelto da Salvini a spese di Roberto Marcato, fido assessore di Zaia, aprirebbero le porte anche a un regolamento di conti nella Lega tra il segretario e il “partito dei governatori”. Salvini punta dunque a difendere le posizioni, e soprattutto a non scendere a livello nazionale sotto la soglia psicologica del 15 per cento

 

Il Partito democratico e il Movimento 5 stelle presenteranno candidati comuni in 18 capoluoghi di provincia su 26, compresi i quattro capoluoghi di regione (Genova, Palermo, L’Aquila e Catanzaro). “Sarà un test per verificare se l’idea del campo largo rende le cose migliori per noi”, ha detto Enrico Letta, riferendosi all’alleanza con i Cinque stelle. Il segretario dem punta però, prima di ogni altra cosa, a consolidare il consenso attorno al Pd, confermando l’attuale guida di sei capoluoghi di provincia (magari con la conquista di altre due o tre città), e puntando a superare la soglia del 20 per cento a livello nazionale, in una sfida simbolica a distanza con Fdi. 

 

Se Forza Italia è chiamata a una prova di tenuta rispetto al radicamento nelle amministrazioni locali, il Movimento 5 stelle si prepara a sparire da centinaia di comuni. Su quasi 1000 comuni in cui si vota, il movimento ha presentato la propria lista soltanto in 64, appena il 6,5 per cento del totale, spesso a sostegno dei candidati del Pd. Un colpo di magia da parte di Giuseppe Conte: se non ti presenti alle elezioni, allora non puoi perderle. Il tour elettorale svolto nelle ultime settimane è servito all’ex premier soprattutto per misurare il proprio gradimento personale in giro per l’Italia e a prepararsi alle prossime regionali in Sicilia. 

 

Il fronte centrista (Azione, Italia Viva e Più Europa) si presenta in ordine sparso, con un approccio che al momento non sembra incoraggiare progetti comuni in vista delle politiche del 2023. Da tenere d’occhio, invece, Paragone, che con la sua Italexit è presente con candidati in diversi capoluoghi e potrebbe riservare sorprese. 

 

I referendum sulla giustizia costituiscono un ulteriore banco di prova, anche qui soprattutto per la leadership nel centrodestra. Il raggiungimento del quorum dei quesiti referendari promossi dalla Lega con il Partito radicale sembra impresa quasi impossibile. La sconfitta per Salvini potrebbe diventare doppia se a questo dovesse aggiungersi – come previsto dai sondaggi – anche la prevalenza del “no” sui primi due quesiti (abolizione della legge Severino e limitazione delle misure cautelari), contrastati da Fdi. 
La campagna referendaria è stata a dir poco paradossale. In un’intervista alla Stampa, Emma Bonino ha accusato Salvini di un fatto evidente, cioè di essere sparito dalla circolazione dopo l’euforica raccolta firme della scorsa estate (credendo, con una certa ingenuità, che il segretario leghista si fosse improvvisamente convertito al garantismo).

 

Dal canto suo, il leader della Lega si è ora reso conto della figuraccia che rischia di rimediare con i referendum e così si è spinto a lanciare un appello al capo dello Stato e al presidente del Consiglio affinché ricordino agli italiani di andare a votare: “Non mi sono accorto che dalle massime cariche dello stato sia arrivato un promemoria agli italiani sul fatto che possano votare i referendum sulla giustizia”. La sintesi perfetta del gesto di disperazione salviniana l’ha fornita Osvaldo Napoli (Azione): “Salvini pensa di scambiare le due cariche istituzionali per due manifesti-sandwich”