Letta rinnova la linea filo-Kyiv. E confida che Draghi abbia la meglio su Scholz

Valerio Valentini

I sondaggi confortano il segretario del Pd: stare dalla parte dell'Ucraina paga. Anche se domenica le amministrative daranno risultati non rosei, la fermezza euroatlantico resterà. I resoconti dei parlamentari dem da Kyiv: a essere in imbarazzo lì è la Germania, che potrebbe non opporsi alle mosse del premier 

La convinzione di Enrico Letta poggia su fondamenta solide, per quanto indicibili. Perché i sondaggi arrivati sul tavolo del segretario non possono essere rivelati, nell’imminenza del voto, ma fotografano tutti la stessa tendenza: un rafforzamento dei partiti che coerentemente sostengono la causa ucraina, e un contestuale cedimento di chi invece tentenna, e talvolta sbarella. Per questo Letta ha deciso: a prescindere da quale sarà il responso delle urne, domenica sera, la linea  non cambia: a sostegno di Kyiv, dalla parte dell’Europa e della Nato,  al fianco di Mario Draghi.

Lo ha spiegato anche ai suoi colonnelli, impegnati sul territorio in una campagna elettorale difficile. “Giochiamo fuori casa”, ripete ossessivamente Francesco Boccia, gran visir degli accordi locali per il Nazareno, per ribadire che “nei 26 capoluoghi in cui si va al voto, ben 20 sono governati dal centrodestra”. Si conta, in effetti, a strapparne ben pochi. Si danno per perse, nel Pd, le sfide più importanti, quelle di Genova e Palermo. Si ha  fiducia su Catanzaro e Catania, si coltiva il sogno di Verona, ma più con l’incoscienza di chi è obbligato a crederci; assai meno ci si crede a L’Aquila. In Puglia Taranto potrebbe oscurare il disastro annunciato a Barletta. E semmai si guarda al nord, per trovare le ragioni dell’entusiasmo: Padova e Belluno, nel feudo di Luca Zaia, sono prendibili. Su Como e Lecco, in Lombardia, ci si prova davvero. Cuneo potrebbe riservare buone sorprese in Piemonte. Insomma, la narrativa che si cercherà di alimentare, se le cose in terra padana andranno come Letta auspica, è quella di una penetrazione al Settentrione, di uno sgretolamento della tenuta salviniana laddove la Lega dovrebbe essere più forte.

E però, come che si risolvano queste  attese nello spoglio di domenica sera, il leader del Pd ha già deciso che la fermezza euroatlantica a sostegno dell’Ucraina non cambierà. A confortarlo, in questo senso, ci stanno almeno due rilevazioni che testimoniano, su scala nazionale, una crescita significativa per i dem e per Fratelli d’Italia nell’ultimo mese, compensata da un calo importante di Lega e M5s. La coerenza nella difesa dell’aggredito, dunque, paga assai più del pacifismo di prammatica. 

Ma a dare consistenza a  questa convinzione di Letta sono anche i resoconti che i suoi parlamentari inviati a Kyiv in questi giorni gli riferiscono. Gli parlano di una situazione drammatica, di un’estate che sarà di fuoco e di sangue, nel Donbas. E di una Germania in profondo imbarazzo. Ieri i funzionari del ministero della Difesa ucraino, parlando con la delegazione di parlamentari progressisti in visita diplomatica, non si sono trattenuti nel criticare “la condotta incomprensibile” di Berlino, “che ha promesso poco, e quel poco neppure lo mantiene”. Dei Leopard annunciati, non s’è ancora vista traccia. Gli altri carri armati in viaggio dalla Germania verso la prima linea sono stati fermati perché privi di munizioni. La Spagna si è offerta d’intervenire per sopperire queste mancanze: “Ma per qualche ragione, serve un’autorizzazione tedesca per finalizzare l’operazione, e questa autorizzazione non arriva”, si sono lamentati i collaboratori di Oleksij Reznikov. Se insomma l’invio di altre armi è nella logica delle cose, e se questo invio potrebbe perfino arrivare già prima del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno,  quale potrebbe essere, si chiedono al Nazareno, il senso di un ripensamento della nostra posizione nettamente filoucraina?

“Di armi ce ne servirebbero più dello stretto necessario, considerando che una parte si rivela difettosa, una parte viene intercettata e distrutta dai russi”, hanno insistito ieri dal gabinetto di  Zelensky. Al che i parlamentari tedeschi, chissà se più per convinzione o per imbarazzo, hanno garantito che almeno sull’altro fronte, quello del riconoscimento dello status di candidato all’Ucraina per l’ingresso nell’Unione europea, “Scholz non s’opporrà”. Sarebbe allora una vittoria di Draghi, che per primo si è intestato quella battaglia. E allora, si dice Letta, perché non proseguire sulla strada intrapresa, ora che si rivela quella giusta?

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.