(foto di Ansa)

la coppia del no

Su sanzioni, armi e adesione di Kyiv all'Ue c'è una zavorra franco-tedesca (lo dice pure Draghi)

David Carretta

Berlino contro il price cap, ma anche contro lo status di candidato per l'Ucraina, e Parigi la segue. Ora in Europa sono in molti a chiedere "una pausa" dopo l'ultimo pacchetto di misure contro la Russia di Putin

Bruxelles. Con l’embargo graduale e parziale sul petrolio l’Unione europea ha raggiunto un limite di quello che è in grado di fare in termini di sanzioni contro la Russia. Nonostante la richiesta di alcuni stati membri dell’est di iniziare a preparare un settimo pacchetto di sanzioni, magari per andare verso un embargo dell’Ue sul gas, le lunghe e difficili trattative per approvare il sesto pacchetto e le numerose deroghe per non arrecare troppi danni ad alcuni stati membri consigliano una “pausa”, come ha detto il premier belga, Alexander De Croo. Così, nelle prossime quattro settimane, la battaglia interna all’Ue si sposta su un terreno diverso dalle sanzioni: la concessione dello status di paese candidato all’Ucraina. Mario Draghi ieri è stato candido su quali sono le condizioni di partenza: l’Italia è a favore, la Commissione pure, ma Germania e Francia sono contrarie. Una decisione favorevole al Consiglio europeo del 23 e 24 giugno è improbabile.

 

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha salutato positivamente il via libera al sesto pacchetto di sanzioni, ma ha definito “inaccettabili” i 50 giorni che sono trascorsi dall’approvazione del quinto. La lentezza dell’Ue è uno dei prezzi da pagare per mantenere l’unità. L’embargo del petrolio è graduale perché sarà effettivo solo tra sei mesi. Era la condizione posta dalla Germania, il cui governo aveva già pianificato di abbandonare il greggio russo entro la fine dell’anno. L’embargo è parziale, perché copre solo due terzi delle importazioni petrolifere, a causa dell’eccezione introdotta per gli oleodotti, che è stato l’unico modo per convincere il premier ungherese, Viktor Orbán, a togliere il veto. Altre misure importanti del sesto pacchetto sono state annacquate, come il divieto di assicurare le petroliere che trasportano greggio russo nel resto del mondo (una richiesta di Grecia, Cipro e Malta). L’embargo è comunque “un grande passo in avanti” ma “ora dobbiamo fare una pausa”, ha detto il belga De Croo, dopo la trattativa che ha permesso a Orbán di preservare le forniture di petrolio russo per l’Ungheria. “Il gas è molto più complicato. Fermiamoci qui per il momento e vediamo qual è l’impatto”, ha detto De Croo.

 

Nelle discussioni tra i leader il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e quello austriaco, Karl Nehammer, hanno escluso un embargo sul gas russo. L’unica misura che l’Ue potrebbe contemplare nel medio periodo è un tetto al prezzo del gas importato via gasdotto dalla Russia. Draghi è riuscito a far inserire un paragrafo sul price cap nelle conclusioni del Consiglio europeo. La Commissione è invitata a “esplorare modi per limitare l’aumento dei prezzi dell’energia, inclusa la fattibilità di introdurre tetti temporanei sui prezzi delle importazioni laddove appropriato”. A Bruxelles il price cap è inteso come una specie di sanzione: imporre alla Russia un prezzo inferiore di quello che applica attualmente, attraverso dazi o altri meccanismi. Applicare un tetto agli altri fornitori è considerato controproducente, perché potrebbero vendere altrove. In ogni caso, per ora la Germania è contraria. Il timore di Scholz è che Vladimir Putin reagisca chiudendo tutti i rubinetti, anche a costo di perdere miliardi di euro di entrate.

 

A giocare contro un settimo pacchetto di sanzioni c’è anche un’altra urgenza dell’Ue: sbloccare Odessa e gli altri porti ucraini per prevenire una catastrofe alimentare globale. Pur attribuendo la responsabilità del blocco al presidente russo, diversi leader europei hanno fatto capire che occorre trovare un modus vivendi con Putin nel Mar Nero. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato una risoluzione alle Nazioni Unite per dare all’Ucraina “garanzie di sicurezza” in modo che non ci siano attacchi russi. “Aspettiamo una risposta della Russia su questo punto”, ha detto Macron. Mosca ha chiesto in cambio di togliere alcune sanzioni, come quelle che colpiscono la banche escluse da Swift o il divieto per le navi russe di usare i porti europei. L’Alto rappresentante, Josep Borrell, lunedì ha parlato della necessità di un “accordo con la Russia per usare la via marittima”.

 

La pausa sulle sanzioni inevitabilmente sposterà il confronto tra gli stati membri sulla richiesta di Zelensky di aderire all’Ue. Durante il Consiglio europeo Draghi ha spiegato che “offrire all’Ucraina lo status di paese candidato può essere un gesto simbolico importante, un messaggio di sostegno nel mezzo della guerra”. La Commissione di Ursula von der Leyen deve presentare la sua opinione nelle prossime settimane. Ieri Draghi ha spiegato che “la Commissione è abbastanza favorevole a questo tipo di prospettiva”. Il presidente del Consiglio ha anche svelato le posizioni in campo. “Lo status di candidato trova l’obiezione di quasi tutti i grandi stati dell’Ue, se non tutti, escluso l’Italia”, ha detto Draghi, che ha anche criticato le proposte alternative lanciate da Macron o dal presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, di comunità europea politica o geopolitica. “I concetti che si sono prodotti nel corso di questi mesi per sostituire lo status di candidato addolcendo la pillola sono quelli di appartenenza alla comune famiglia europea, appartenenza alla comunità, gruppo di paesi che stanno aspettando. Io credo che tutti questi concetti non siano accettabili per gli ucraini e siano guardati con sospetto da altri paesi che sono in fila”, ha detto Draghi. Che sia sulle sanzioni, sugli aiuti militari o sul sostegno politico all’Ucraina, c’è una grossa zavorra che frena l’Ue: la coppia franco-tedesca.