La coppia

Bonomi tifa Draghi, Orlando tifa il vice di Bonomi (Stirpe). Sono i "cari brontoloni" del salario

Carmelo Caruso

Litigano ma si sostengono a vicenda. Dalle delocalizzazioni al salario minimo. Il presidente della Confindustria non sopporta la politica, il ministro del Lavoro è l'iper politico. Convivono con tumulto

Carissimi brontoloni! Sono i Walter Matthau e Jack Lemmon della chiave inglese, i “marito e marito” del salario (minimo) la “coppia cuneo”, ovviamente fiscale. E infatti, come i due comici americani, che erano appunto “irresistibili” (brontoloni) pure il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi (che è Matthau) sarebbe dimezzato senza il ministro, Andrea Orlando (che è Lemmon) il compagno d’invettiva che “sui salari ci ricatta”. Perfino quando se le suonano, a parole, Orlando-Lemmon si difende, lo ha fatto a Palermo, da Bonomi-Matthau, dicendo: “Il presidente ha il gusto della battuta”. Sposati da Mario Draghi, che è il loro regista, il loro Billy Wilder, incarnano le vecchie e sane “nostre ragioni”. Orlando ha come profilo WhatsApp l’immagine di lui di fronte al “Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo. Bonomi ha scelto la sagoma bianca perché bianco è il colletto dell’industriale. La  parola “salario” è  nuovamente il sapone da barba della politica.


Sono davvero la sola novità dell’antico, la dialettica operaio-padrone e anche a vederli, Orlando e Bonomi, sono opposti e complementari. Bonomi, e i giornalisti ancora lo ricordano, il giorno delle consultazioni con Mario Draghi, aveva storto il sopracciglio perché erano trascorsi due minuti (di ritardo) dall’ingresso previsto: “Che succede?”. Come Matthau, preferisce passare per antipatico, gli piace non piacere. Ha centralizzato pure le uscite pubbliche dei vertici. Se è previsto un suo intervento, anche con giorni di anticipo, non accetta che i vicepresidenti di Confindustria parlino con la stampa. Il motivo? Oscurerebbero le sue parole. Ogni volta che interviene premette che “devo dire verità scomode” e quando si rivolge a Draghi non nasconde la sua felicità “per fortuna, presidente che c’è lei”. Orlando, al contrario di Bonomi, non ha il problema dei “vice” che gli possono togliere spazio e non cronometra il tempo perché sa che anche il ritardo è il “piacere del concertare”.

 

Come Lemmon, che della coppia era lo scapolo del film L’appartamento, Orlando è l’amico della tuta blu, oggi arancione, quella dei riders. Hanno cominciato a pizzicarsi un anno fa quando sull’onda della chiusura della Gkn ciascuno di loro faceva il suo mestiere. Orlando a passo cadenzato, socialista, proponeva un testo severissimo sulle delocalizzazioni delle multinazionali, quelle che “licenziano per sms”. Bonomi gli aveva dato del “propagandista anti impresa”. Insieme hanno allietato l’estate 2021, sparso il sale della polemica su tonno e insalata. La temperatura era salita al punto che Draghi aveva chiesto a Francesco Giavazzi l’arbitrato. Da allora, Orlando e Bonomi, hanno riaperto la “falegnameria” del welfare. Sono seguiti infatti i “tavoli” e si sono “limati” accordi prima di questa nuova pellicola “minima” e prima che l’inflazione, e la direttiva europea sul salario minimo facessero risalire il tema salari in testa all’agenda di governo. Bonomi, che è Matthau, e quindi arcigno, il 27 maggio, ha addirittura citato Dante e la sua selva oscura perché “nel mezzo del cammin del mio mandato mi ritrovai per una selva oscura”. La sua idea della politica non l’ha mai dissimulata: “Insensibile”; “impossibile dialogarci”. E deve essere impossibile se ogni volta, tra ministro e presidente, finisce con un “non ci capiamo”.

 

Orlando, che secondo Bonomi, voleva collegare l’erogazione degli incentivi alle imprese con l’aumento dei salari, ha replicato che “non è vero. Non ho ricattato nessuno. Ho solo parlato di un accordo con le parti sociali”. Bonomi, che conosce ormai “le ragioni del socialismo” ha attaccato Orlando sul tema che forse gli è più caro (lo ha seguito pure da ministro della Giustizia) la lotta al caporalato: “Se il ministro vuole combattere il lavoro nero io cancello i miei impegni e andiamo a Rosarno. Sono due anni che è ministro e non ho mai sentito parlare di questi temi”.

 

E’ insomma finita in irrisione e come sempre avviene si finisce per nascondere i tanti accordi che Orlando e Bonomi hanno siglato in questo anno e mezzo di governo: lo smart working, la riforma degli ammortizzatori sociali, i protocolli di sicurezza.

 

Al ministero del Lavoro raccontano ad esempio che con Maurizio Stirpe (il vice di Bonomi) e con Pierangelo Albini (il direttore dell’Area Lavoro di Confindustria) “i rapporti sono sempre stati distesi” e di “incontri ne abbiamo avuti e sempre positivi, cordiali”. E però, quando a Bonomi dicono che con Orlando c’è una questione personale lui si infuria perché, precisa con gli altri imprenditori, ho sempre “parlato di contenuti”. Sono indispensabili l’uno per l’altro come aveva capito Goffredo Parise nel suo Il Padrone (Adelphi): “Spesso mi chiedo cosa farei senza un padrone senza una persona che mi ritiene un bicchiere, una sedia, un letto. Sarei un bicchiere, una sedia e un letto, senza funzione perché un bicchiere che non viene usato non si può chiamare bicchiere”. Così come un imprenditore senza operai non si può chiamare imprenditore neppure Bonomi e Orlando, se separati, sarebbero più “il ministro del Lavoro” e il “presidente di Confindustria”.

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio