(illustrazione di Francesco Dalmazio Casini)

waste to energy

I termovalorizzatori sono un problema per gli ecologisti solo in Italia

Francesco Dalmazio Casini

In Europa buona parte dei paesi che puntano sugli impianti di termovalorizzazione hanno forze politiche ecologiste rilevanti, spesso in posizioni di governo. Una mappa per capire che gli inceneritori sono un tabù soltanto in Italia

Il no del M5s non fermerà il progetto, della giunta Gualtieri, di costruzione del termovalorizzatore a Roma. Si farà anche nonostante le polemiche della fronda vetero-ecologista: Cinque Stelle in testa, Legambiente e sindacati dietro. L’ambientalismo all’italiana è da anni che si è discostato dall’ambientalismo “all’europea”, è rimasto una nicchia piena di no e vuota di voti, mentre altrove, in Europa, i partiti verdi arrivano non solo a sedersi in Parlamento, ma vanno pure al governo. In Italia i termovalorizzatori sono “in palese contrasto con l’indirizzo politico del Governo, dal momento che la tutela ambientale è una delle priorità del Pnrr”, come ricorda il deputato grillino Francesco Silvestri. In Germania invece, dove i Grunen sono il terzo partito più votato, i termovalorizzatori sono 96, quasi il triplo di quelli attivi in Italia.

 

Stessa musica in Austria, dove i Verdi hanno preso il 14 per cento dei voti alle ultime elezioni e sono partner della coalizione di governo. Nel paese i termovalorizzatori sono 11 e in qualche caso, come per l’inceneritore Spittelau, sono diventati addirittura attrazioni turistiche – a Vienna, dove i Verdi vanno meglio che nel resto del paese.

 

 

In molti dei paesi in cui ci sono più termovalorizzatori, le forze ecologiste sono forze di governo. In Finlandia, dove gli impianti sono nove (347 mila tonnellate ciascuno), la Lega verde (11,5 per cento alle ultime elezioni) è stata in coalizione di governo cinque volte nelle ultime dieci legislature. In Svezia i termovalorizzatori sono 37, come in Italia ma con un sesto dei rifiuti, e il Partito verde per quanto non sia una delle forze più rappresentate (intorno al 5 per cento dei consensi) è uno storico partner di governo dei socialdemocratici.

 

In Francia e Belgio gli ecologisti non governano ma sono forze politiche con una tradizione decennale alle spalle e ancora in grado di partecipare da protagonisti alla politica nazionale – ne è un esempio l’alleanza con la sinistra di Melenchon in vista delle legislative francesi. In quei paesi dove non c’è una tradizione di radicata di rappresentanza politica ecologista, in genere i termovalorizzatori scarseggiano. È il caso della Spagna o della Polonia, che viaggiano entrambe sulle 1.800 tonnellate di rifiuti per impianto, ma anche di quasi tutti i paesi dell’Europa orientale – alla faccia del segretario della Cgil laziale Natale Di Cola per cui “incenerire è di destra”. Per ognuno dei 37 termovalorizzatori in funzione in Italia vengono bruciate circa 800 tonnellate di rifiuti. Un dato che di per sé non è il peggiore in Europa, ma nemmeno trai migliori.

 

Non è questione di quanto funzionino bene gli impianti di termovalorizzazione, di quanto siano ecologici e di quanto poco inquinino. In Italia i termovalorizzatori sono un tabù, basta nominarli per fare alzare le barricate. Il dato che emerge se si guarda una mappa dei termovalorizzatori in Europa non è tanto la correlazione tra ecologisti e numero degli impianti (che in tanti casi esiste) quanto il semplice fatto che gli inceneritori non siano uno degli argomenti divisivi per eccellenza. Non siamo trai peggiori del continente, ma siamo a un bivio e negli ultimi nove anni l’Italia ha perso nove impianti. Ora Gualtieri e il governo suonano la sveglia e riportano il tema sul tavolo. Qualora servissero rassicurazioni sul fatto che si può restare ecologisti senza abdicare ai termovalorizzatori, basta alzare la testa e guardare a nord