Guerini declama la lista della armi per Kyiv. Il M5s? Muto

E il generale Vecciarelli torna sulla missione russa durante la pandemia: "C'erano ben 8 interpreti, nella delegazione". Un po' troppi, per essere solo traduttori

Valerio Valentini

Il ministro della Difesa, al Copasir, non riceve obiezioni grilline sulle armi “difensive” evocate da Conte, né sull'impegno per il 2 per cento per le spese militari. L'impegno italiano sul gas e il risiko africano: cosa cambia dopo il vertice a Ramstein

Se la polemica grillina non è iniziata neppure, non è solo perché Adolfo Urso, con fare presidenziale, l’ha disinnescata preventivamente ricordando che “il Copasir non è un organo di dibattito politico”.  C’è che dietro alle parole di Lorenzo Guerini, nella sua relazione che è andata ben oltre la lettura dell’elenco degli armamenti inviati all’Ucraina col secondo decreto ad hoc, in attesa di un terzo più delicato e più sostanzioso, tutti i membri del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica c’hanno una certa gravità: “Perché la guerra  scatenata da Putin determinerà un riassetto generale che va ben oltre il fianco orientale dell’Europa”, ha spiegato il titolare della Difesa, riassumendo le conclusioni del vertice di Ramstein. Con un riferimento specifico al “Risiko africano”.

E insomma in tutto questo gran parlare, il momento più tranquillo è stato proprio quello della lettura delle armi inviate a Kyiv: lunga trafila di sigle, codici, modalità d’impiego e costi. E se nessuno è intervenuto a lamentare la scarsa trasparenza, se nessuno ha discettato delle differenze tra strumenti offensivi e difensivi, non è stato solo perché chi sarebbe stato titolato a farlo, come la grillina Federica Dieni, lei che è l’unica donna presente al Copasir, s’è sottratta scherzando sulle distinzioni di genere: “Noi ragazze siamo meno avvezze a parlare di armi”. La verità è che sarebbe bizzarro se a contestare un decreto riservato fossero esponenti di un partito che vede un ministro, come Luigi Di Maio, tra i firmatari di quel decreto. E anzi, alla fine il ministro della Difesa ha ottenuto che nel comunicato finale della riunione si riconoscesse l’esaustività delle sue spiegazioni, al termine di un’audizione durata due ore. 

E così perfino quando Guerini s’è soffermato sull’importanza del rispetto dell’impegno Nato sul 2 per cento del pil per la Difesa, nessuna eco delle grandi intemerate di Giuseppe Conte s’è riverberata nei corridoi di Palazzo San Macuto. Del resto il senso di quella spesa non sta in un’improvvisa fregola bellicista, ma è semmai un passaggio necessario perché i paesi europei ottengano,  all’interno della Nato,  maggiore autonomia e più netta capacità di far valere le proprie ragioni.

D’altronde anche parlare solo di Nato, per come la si è conosciuta finora, pare limitato. E il vertice nella base tedesca di Ramstein, con oltre 40 paesi coinvolti, sta lì a dimostrare l’esistenza di un fronte assai più ampio del solo Patto atlantico: un “gruppo di contatto”, com’è stato definito dal segretario della Difesa americano Lloyd Austin, che si aggiornerà mensilmente  e che vedrà un coordinamento unico per la gestione dei rifornimenti militari a Kyiv, individuata in una task force di base a Stoccarda, a guida americana. 

E però l’opposizione a Putin non riguarda solo il fronte ucraino, ma passa anche per una ridefinizione di equilibri in Africa. Scenario, questo, che potrebbe vedere un impegno diretto dell’Italia. L’attivismo di Mario Draghi per individuare fonti energetiche alternative a quelle russe è un segnale, ma non è l’unico. Perché la diversificazione del gas impone  una politica estera nuova: e il fatto che in molti dei paesi interessati (Libia, Egitto, Congo, Angola, Nigeria) “si possa usufruire di gas riconducibile all’Eni, per il nostro paese – usando le parole della relazione del Copasir sull’energia – “è un vantaggio innegabile che ci permette di tenere una posizione di forza”, tanto più che “non si tratta di accordi o impegni aventi valenza esclusivamente commerciale”. Grosse opportunità, dunque, ma anche nuovi impegni.

Il primo riguarda una distensione dei rapporti diplomatici con la Turchia di Erdogan, indispensabile per lavorare alla stabilizzazione dell’area, a partire dalla Libia. Il secondo è sapere, anche sul piano industriale, che la guerra di Putin impedisce di tornare alla logica del business as usual. E per questo le resistenze di aziende statali come l’Enel al recidere legami economici e finanziari con la Russia vengono visti con grosso fastidio, dal governo. Su tutto questo, si è dilungato Guerini.

Non sapendo, forse, che delle incrostazioni russe nelle istituzioni italiane si era parlato, al Copasir, anche nelle ore precedenti. Anzitutto sulla Rai: nelle prossime settimane verrà audito il dg Carlo Fuortes, e anche il presidente dell’Agcom Giacomo Lasorella. E poi, di nuovo, sulle recenti strambate diplomatiche dell’èra Conte. Audito nell’ambito dell’indagine sulla missione “Dalla Russia con amore”, del marzo 2020, il generale Enzo Vecciarelli, allora capo di stato maggiore della Difesa, incaricato di accogliere il nutrito contingente arrivato da Mosca, nalla mattinata di ieri ha spiegato che uno dei primi indizi allarmanti sulle reali intenzioni dei militari fu nella presenza di ben otto interpreti assegnati alla delegazione. Otto, e tutti provenienti da Mosca. Un po’ troppi, per essere solo dei traduttori. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.