Tra bollette e Pnrr. Perché Draghi e Cingolani sono pronti a commissariare Sogin

Valerio Valentini

Al Mite sono convinti: serve una svolta nella gestione della società pubblica che si occupa dello smaltimento delle scorie nucleari. A maggio, quando gli attuali vertici scadranno, il momento sarà propizio. Si cerca un manager esterno

Messa giù così, ha un po’ quell’effetto di già sentito. Commissariare Sogin, figurarsi. Un po’ come dire: il Ponte sullo Stretto di Messina. E però, a chi gli fa notare che non è il primo a paventare la messa sotto tutela della partecipata statale che gestisce gli impianti nucleari dismessi, Roberto Cingolani ribatte che lui sarà il primo a farlo. Perché lo impongono i fatti e perché, a quanto pare, anche Mario Draghi conviene che no, indugiare anche stavolta, come già hanno tentennato tanti predecessori prima di lui, non si può più. E dunque, approfittando della scadenza dei vertici prevista a fine mese, la procedura sempre rinviata pare proprio che verrà applicata.

E del resto, i motivi per cui una svolta non è più procrastinabile, al Mite ce li hanno chiari. “Disfunzionalità”, le definisce con lessico diplomatico, Cingolani. “Storture inaccettabili”, dicono, con meno garbo, i funzionari del Mite. La principale riguarda il cosiddetto decommissioning,  ovvero la bonifica delle vecchie centrali nucleari. Sogin dovrebbe procedere seguendo una tabella che la stessa azienda si dà, e che puntualmente si dilata, con obiettivi scientificamente mancati. “Sullo stato di avanzamento dell’attività, Sogin ha eseguito il 35,5 per cento dei lavori di smantellamento dei siti”, si legge nei report del Mite. Il che spiega quei 15 anni di ritardo già accumulati rispetto alla scadenza prevista per lo smaltimento completo delle scorie, inizialmente fissata al 2019 e ora rinviata almeno al 2036. Quindici anni accumulati in meno di venticinque di vita, essendo Sogin stata fondata nel 1999. Non  uno sfoggio di efficienza.  

Il M5s a queste contraddizioni si appella per evidenziare l’insensatezza del nucleare, per mostrarne le controindicazioni. Scelta curiosa, in verità, se è vero che il perdurare delle lentezze smentisce quella retorica grillina assai in voga ai tempi del “governo del cambiamento”, quando si additava la guerriglia intestina – effettivamente patetica – tra l’ad e il presidente di allora per evidenziare la necessità di un repulisti. Solo che, archiviate le baruffe tra Marco Ricotti e Luca Desiata, che avevano fatto seguito a quelle tra Giuseppe Zollino e Riccardo Casale, la nuova gestione condotta da Luigi Perri ed Emanuele Fontani s’è accartocciata sulle stesse faide. Al punto che, proprio a seguito di un’indagine interna, un mese fa si è arrivati al licenziamento di quattro dirigenti.

E insomma, quando anche questa gestione  scadrà, tra aprile e maggio, le ragioni del commissariamento, a giudizio di Cingolani, saranno lampanti. E nei confronti preliminari che i tecnici del Mite hanno avuto con quelli dell’altro ministero responsabile, e cioè il Mef, la convergenza di vedute è stata notevole. Agire subito, e possibilmente con un manager esterno alle strutture ministeriali. 

E l’urgenza, in questo senso, non riguarda solo il rischio legato a quei 270.000 litri di rifiuti radioattivi liquidi acidi, che vennero stoccati in un deposito nato come temporaneo e poi divenuto sempiterno come ogni cosa che riguarda Sogin, e che dunque restano lì, in quel di Saluggia, in provincia di Vercelli, in serbatoi in acciaio costruiti negli anni Sessanta, senza che il pericolo di sversamento e di conseguenti danni ambientali valga ad accelerare i tempi del progetto Cemex. L’urgenza sta anche nel fatto che il 30 giugno 2022 scade uno dei progetti del Pnrr in capo al ministero della Cultura che prevede, tra l’altro, anche la riqualificazione delle ex centrali nucleari per trasformarle in luoghi di recupero delle opere d’arte danneggiate da calamità naturali. E c’è di più. Perché i costi del decommissioning vengono finanziati anche dalle bollette elettriche: e in una fase del genere, tollerare sprechi tra le componenti degli “oneri di sistema” pare davvero assurdo. Anche per questo Cingolani ci crede. Che sia la volta buona?

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.