Le falle nella versione di Conte sulla missione russa fa arrabbiare il Copasir

Valerio Valentini

I tempi, le spese, il ruolo dei servizi. Sono tre delle questioni su cui l'ex premier non ha dato risposte chiare durante la sua audizione in merito all'operazione del Cremlino in Italia nel marzo del 2020. E il generale Portolano, allora capo del Comando interforze, a chi gli chiede un giudizio risponde: "Io lo dissi che non era il caso, ma fui preso per paranoico"

Forse tra gli auditi ci sarà anche lui, quel Luciano Portolano, segretario generale della Difesa, che a quanti gli hanno chiesto un parere sulle stranezze della missione “Dalla Russia con amore”, nei giorni scorsi ha spiegato che “io l’avevo detto che era una cosa da non fare”. O forse no: forse martedì, quando il Copasir definirà il calendario, si deciderà di non insistere con gli interrogatori. Benché l’ultimo, quello di giovedì di Giuseppe Conte, che in quel marzo del 2020 era premier, ha alimentato più sospetti di quanti dovesse fugarne, lasciando a molti membri del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica parecchi dubbi su almeno tre punti. 

La prima anomalia, che è la più ingombrante, ha a che fare coi tempi. Perché non più di venti ore, stando alle ricostruzioni del Copasir, sono trascorse dal momento in cui Conte ha concordato con un riluttante Lorenzo Guerini la formula definitiva della missione russa e il momento dell’atterraggio dei 13 quadrireattori decollati da Mosca sulla pista di Pratica di Mare. Venti ore in cui il premier ha modo di parlare con Vladimir Putin al telefono, stabilire i dettagli dell’operazione e dare il suo via libera. Dunque il Cremlino aveva già la certezza che quegli aerei sarebbero potuti arrivare in un aeroporto militare di un paese Nato, con tutte le autorizzazioni e le procedure del caso già sbrigate?  

Gli altri punti oscuri della vicenda hanno a che vedere con le spese del viaggio, che sono state stranamente accollate al governo italiano, e con l’eventuale presenza di nostri funzionari di intelligence tra gli accompagnatori che hanno scortato i 104 membri dell’equipaggio russo, composto anche, da come è stato accertato dal Copasir, da “personale dei servizi segreti” di Mosca.

Su tutti e tre i punti, le spiegazioni fornite da Conte sono parse, a esponenti di almeno tre diversi partiti del Copasir contattati da Foglio, alquanto reticenti. Tanto più alla luce di un altro paradosso, fatto notare all’ex premier. E cioè che quella missione si collocava in un momento, quello della primavera del 2020, in cui nel frattempo i nostri servizi producevano report per segnalare i numerosi attacchi cibernetici operati da Mosca ai danni di nostre strutture sensibili, sia pubbliche sia private, e per denunciare anche la pervasività delle campagne di “infodemia”, cioè in sostanza di fake news, condotte proprio da strutture riconducibili al Cremlino con l’obiettivo di diffondere allarmismo sul rischio di rivolte e disordini sociali legati alla pandemia in varie città italiane. E il bello è che a certificare la consistenza di queste “minacce ibride” era proprio l’autorità delegata per i servizi: e cioè tal Giuseppe Conte.

Che, certo, ha molte innegabili ragioni nel dire, come fa, che la tragicità del momento, nel pieno della morsa del Covid, ha imposto di accettare aiuti da chiunque arrivassero (e del resto lo stesso Guerini, all’epoca, dovette insistere assai con la diplomazia trumpiana per segnalare il rischio che Cina e Russia sfruttassero l’occasione per operazioni di pura propaganda, accreditandosi cioè come gli unici soccorritori dell’Italia). E però Conte – che è poi il Conte del pasticcio con William Barr, o della geolocalizzazione inviata da Rocco Casalino durante l’incontro “segreto” con Haftar a Bengasi – non può forse negare che anche questa, come altre faccende legate all’intelligence, fu svolta in un misto di approssimazione e leggerezza. E magari anche per questo a sentirsela rievocare, il generale Portolano, che nel marzo del 2020 guidava il Comando operativo interforze e si trovò a trattare direttamente coi vertici della spedizione russa, dice ai suoi interlocutori che “quella missione era anomala da ogni punto di vista, ma quando lo segnalai venni preso per paranoico”.

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.