l'intervista

"Nel governo non c'è spazio per ambiguità: si deve stare tutti dalla parte della democrazia", ci dice Enzo Amendola

Valerio Valentini

Il responsabile dei Rapporti con l'Ue condanna "l'azione criminale" di Putin. "Certo che le sanzioni avranno un prezzo, ma la libertà e i valori occidentali hanno un costo". La debolezza dell'Europa? "Questa crisi deve convincere tutti: serve un mercato unico del gas". E sul fronte interno: "E' una sfida tra democrazia e autarchia. Molto più di un inciampo su emendamento al Milleproroghe"

No, stavolta l’appello valoriale non è una furbizia retorica. “Serve anzi a parlare il linguaggio della verità agli italiani, dire che ci aspettano  scelte difficili e sacrifici”. Insomma Enzo Amendola, responsabile dei rapporti con l’Ue nel governo Draghi, non si nasconde. “Certo che le sanzioni possono avere delle ripercussioni pesanti sulla nostra economia”. E però “la libertà ha un prezzo”, spiega il dirigente del Pd. E se di fronte all’invasione russa dell’Ucraina quel prezzo vale la pena di pagarlo è perché “in questo caso le ragioni della morale coincidono esattamente con la ragion di stato: in gioco c’è il principio fondante dell’Unione europea, che certo da 70 anni persegue e garantisce prosperità economica ai suoi membri, ma che anzitutto vive sull’idea che la pace e la convivenza civile tra popoli e stati siano valori non negoziabili”. E per questo i distinguo, le ambiguità, non sono accettabili.

“E invece da settimane vedo proliferare un benaltrismo insopportabile – ci racconta Amendola – secondo cui la colpa di questa invasione criminale sarebbe quasi dell’Ue, della Nato, dell’occidente. Analisi che vogliono riconoscere le supposte buone ragioni di Putin, e che però si scontrano col fatto che migliaia di uomini armati hanno invaso il territorio di uno stato sovrano con l’obiettivo di cancellare la democrazia ucraina”. Analisi abbastanza trasversali, va detto. “Certo. Ricevo messaggi di gente che crede davvero di vedere in Putin l’ultimo erede dell’Unione sovietica, della presunta alternativa socialista all’imperialismo della Nato. Come se non ci fosse stata da anni una nuova torsione illiberale, a Mosca”. E poi c’è chi, come Matteo Salvini, sembra avere difficoltà a riconoscere “la matrice” dell’invasione, per così dire. “Non sono tra quanti si divertono a ritwittare le foto di certi leader con indosso la maglietta di Putin. Ma è tempo che tra le forze di governo ci sia unità e condivisione assoluta di prospettiva, perché bisognerà prendere scelte difficili per tutti”. 

E insomma l’appello di Enrico Letta a scegliere da che parte stare va letto secondo Amendola “alla luce delle dichiarazioni che anche Giuliano Amato, presidente della Consulta, ha fatto: qui la sfida è tra democrazia liberale e regime autocratico, mica un emendamento al Milleproroghe”. E però, per paradosso, in questa sfida l’Occidente democratico sembra vittima delle sue remore all’utilizzo della forza per reagire a un’angheria. Oltre alla pur sacrosanta solidarietà verso il popolo ucraino, cosa possiamo fare? “Anzitutto proseguire sulla strada delle sanzioni, in una logica di progressiva durezza delle misure”. E’ il massimo consentito? “E’ ciò di cui la nostra diplomazia può servirsi, ora, dal momento che ripudiamo la guerra come strumento di risoluzione delle contese”. E i cittadini di Donetsk possono sentirsi rassicurati, da ciò? “Sta alla lucidità dei leader occidentali, dell’Ue e della Nato, utilizzare tutte le armi della diplomazia in modo che risultino davvero efficaci come strumento di deterrenza. Quella di Putin è la mossa di un prepotente, certo. Ma è anche la scelta estrema di chi, di fronte alle turbolenze crescenti ai suoi confini, alle istanze di democrazia che vengono dal Kazakistan e dalla Bielorussia, vuole dare l’illusione di poter ricostruire una cortina di ferro. Non è vero che la forza della democrazia sia una imposizione esterna. Perché se Putin accetta di compiere scelte scellerate è anche in virtù del fatto che molti paesi dell’est e del Baltico hanno liberamente voluto affidarsi alla visione dell’Ue, hanno scelto lo stato di diritto. E’ questo che Putin non può accettare”.

E però, se la forza dell’Europa sta nella capacità di rafforzarsi democraticamente, dov’è la difesa comune? Dov’è la politica comune energetica? “Io, proprio in quanto europeista convinto, sono insoddisfatto di queste lentezze di un’Ue portabandiera nel mondo di valori liberali dinanzi alle crisi, ma spesso in affanno sulla gestione dell’ordinario e sulla prevenzione dei conflitti. E tuttavia non è per la lentezza dei burocrati di Bruxelles, che non abbiamo una politica estera e di difesa comune, ma piuttosto per gli egoismi nazionali. Volere un’Europa più forte necessita scelte coerenti e nette; altrimenti se seguiamo alcuni antieuropeisti di casa nostra avremo un’Europa che, parafrasando De André, ‘si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità’”. Ma se tentenniamo nel varare sanzioni davvero dure, come quelle relative allo Swift code e al blocco delle transazioni bancarie, è per paura della rappresaglia di Putin sul gas? “Sulla politica energetica c’è un problema europeo che è reale. Il negoziato sul Green deal si è rivelato assai difficile per via di gelosie di certi stati membri, da un lato, e dall’altro per un eccesso di ideologismo. Bisogna essere pragmatici: la transizione ecologica è un obiettivo che va perseguito sapendo che la nostra autonomia strategica non è uno slogan ma ha bisogno di investimenti e infrastrutture comuni. Il precipitare degli eventi deve convincere tutti i partner europei sulla necessità di accelerare verso una vera unione energetica”.

E in questa sfida con Mosca quanta paura fa paura la Cina? “Il G20 di Roma ha affermato la necessità di ricostruire un ordine multilaterale, con spazio e peso nuovi a nuovi attori. Gli equilibri e i rapporti di forza sullo scacchiere mondiale sono cambiati, e bisogna prenderne atto. Ma questi nuovi assetti non possono essere definiti con l’uso delle armi. Questo l’Europa non può accettarlo”. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.