(foto dal profilo Facebook di Roberto Marcato)

l'intervista

Marcato, il bulldog della Liga veneta: “Contrario alle espulsioni, ma la stagione delle purghe era ben altra”

Francesco Gottardi

“Aspettiamo i congressi, ora la base è senza voce”, dice l'assessore regionale, fedelissimo di Zaia eppure vicino anche a Salvini. “Amministrative? I dissidi ci sono stati, ma una volta deciso basta polemiche”

Li ha visti saltare a uno a uno. Prima Marcello Bano, “l’uomo che ha sconfitto il Pd nel suo feudo”. Poi gli altri: “Impossibile immaginare la Liga senza Pettenà a Treviso”. È lui a chiamarli così, quei militanti epurati ora difesi a spada tratta anche da Zaia. “Io ho sempre votato contro l’espulsione”, dice al Foglio Roberto Marcato. “Non perché ritenga giusto polemizzare in quel modo sui giornali, che non fa bene al movimento. Ma la contingenza non può vanificare trent’anni di politica attiva in Veneto”. Dove Marcato è campione di preferenze e assessore allo Sviluppo economico. Tiratore scelto del governatore eppure capace di mantenere un canale sincero con Salvini. Anche oggi. “Matteo è d’accordo con noi, eh”. Su cosa? “Lo stato di emergenza terminerà il 31 marzo. Dal giorno dopo ripartiranno i congressi di sezione”, l’ossigeno dialettico venuto a mancare nel Carroccio. “Senza segreterie, riunioni, incontri con referenti e parlamentari, si perdono le sedi del confronto diretto. Si accumulano tensioni. E visto che siamo gente schietta e passionale, in alcuni casi queste scoppiano. Ma vanno gestite. Richiamare all’ordine non vuol dire reprimere uomini simbolo. Altrimenti chi lo spiega agli elettori?

Il “disgelo congressuale” alle porte, come invocato da Zaia, sarebbe insomma la svolta per cambiare pagina. “È così”, insiste Marcato. “Sono stato il primo a dirlo. Il nostro è un partito fortemente popolare e popolano, di territorio. Oggi ha cambiato pelle per esigenza tecnica. Il commissario regionale”, in Veneto da dicembre 2020 c’è Alberto Stefani, “viene nominato dalla segreteria federale. I congressi sono l’esatto contrario: responsabilizzano i militanti e mettono in piedi la catena di comando a partire dal basso, capace di intercettare anche critiche e malumori. Per poi tradurli in energia positiva. I leghisti hanno bisogno di scegliere. L’hanno sempre fatto, anche se ormai siamo gli ultimi a ragionare in questo modo”.

L’assessore ammette il pluralismo interno sempre più spiccato: “C’è molta effervescenza, decine di anime e sigle autonomiste. Il Veneto resta sempre un grande laboratorio politico”. Ma nega che la Lega sia ripiombata nella stagione delle purghe. “La pagina più buia della nostra storia”, si scalda ripensando agli anni di segreteria Tosi in regione. “Un disastro assoluto, guerre intestine paurose: altro che oggi. I militanti venivano espulsi a decine. I commissariamenti erano politici, non tecnici. Il partito era allo sbando, col minimo storico di consenso, Zaia sotto attacco. Siamo lontani da tutto questo”. Il colmo è che Marcato e Tosi sarebbero pure affini: entrambi pragmatici, apprezzati per l’impegno locale, antifascisti dichiarati, leghisti di ragione più che di pancia. E soprattutto per l’autonomia, poco inclini al Carroccio che flirta con Roma e il nazionalismo. “Con Flavio non ho alcun problema personale, è intelligente e capace. Ci andrei pure a prendere un caffè”. Ma? “Se a Verona l’alternativa a Sboarina era appoggiare colui che tentò di sfasciarci, Dio ce ne scampi”.

E arriviamo alle amministrative, altro tema rovente. In fin dei conti anche Sboarina ha tradito. “È vero, dopo tre ore di positivo incontro con Salvini è passato a Fratelli d’Italia. Ma non aveva mai avuto storia politica nella Lega: quindi ora è importante avere dialettica all’interno del centrodestra e appoggiare il sindaco uscente”. Almeno a parole, a differenza dei leghisti veronesi, Marcato non sembra ingoiare il rospo. È convinto che Sboarina sia “un buon candidato, ha già dimostrato di saper governare la città”. La sua invece è Padova. Dove al contrario, la Lega sta strappando l’ok dei meloniani per Peghin, prima scelta di Stefani e Salvini. Senza tanti complimenti – e infatti la rivolta era scoppiata perché la base voleva Marcato al suo posto. “Sarebbe stato auspicabile un confronto fra dirigenti e militanti”, si concede lui. “Una volta deciso però, si chiude a doppia mandata la porta delle polemiche. Disguidi ce ne sono stati? Bene, avanti a testa bassa. La politica non può essere il luogo del rancore. Servono risultati per i cittadini”.

Ma non è che a furia di ossessionarsi con le logiche di coalizione, la Lega cede terreno a Fratelli d’Italia? “No, quello che stiamo pagando noi è la responsabilità di governo”. Marcato lo dice senza rimpianto alcuno. “In un momento così drammatico, di fronte a un nemico invisibile e con le famiglie gravate dai rincari energetici, scegliere Chigi è maturità politica. Una scelta dolorosa in termini di consenso, ma va bene così. Diamo il nostro contributo per risolvere problemi enormi. Facile gridare all’opposizione e basta: FdI si può permettere questo lusso, poi alle urne vedremo. E in Veneto la questione non si pone proprio: i rapporti di forza sono sempre gli stessi”.

Lega padrona, parola del suo bulldog: un soprannome che Marcato rivendica con un certo orgoglio. “Perché di solito sono tranquillo, ma se c’è da scendere sul campo di battaglia non mi tiro mai indietro”. Occhio al palmares. “Durante il periodo Tosi ho ricevuto 11 provvedimenti sanzionatori, sono stato commissariato due volte e sfiduciato tre: credo sia un record imbattibile. Il mio unico concetto di trattativa è che il punto di mediazione sia più alto di quello di partenza. Ma quando vedo l’ingiustizia nei confronti di un cittadino o un militante, non ci vedo più. E parto all’attacco”. Quindi oggi, nonostante il caos leghista in Veneto e gli stenti nella capitale, il bulldog si sente davvero placido sul divano? “Diciamo in posizione di guardia”. E ha detto tutto.

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