Addio a Angiolo Bandinelli, il più originale dei radicali

Massimo Teodori

Lo scrittore e politico italiano è morto ieri a 94 anni. Aveva tutte le qualità per divenire un intellettuale con un importante ruolo pubblico se non fosse rimasto per sempre fedele all’eresia radicale 

Angiolo Bandinelli che è mancato ieri a 94 anni era il più originale, colto e generoso socio di un ristretto gruppo che con Marco Pannella decise di continuare il Partito radicale disgregatosi sul caso Piccardi. Singolare perché tra i giovani che tentarono nel 1962 l’impresa del nuovo partito radicale - Mauro Mellini, Gianfranco Spadaccia, i fratelli Giuliano e Aloisio Rendi e chi scrive -, Angiolo era per storia il meno politico, se si intende con questo termine la precedente vicenda personale. Colto in quanto possedeva una non comune educazione letteraria e artistica che gli avrebbe consentito la carriera universitaria a cui rinunziò, forse perché preferì coltivare nella passione radicale la sua umana speranza. Generoso perché dedicò ogni giorno e ogni energia all’avventura politica allora così minoritaria ma niente affatto settaria. Nel decennio che precedette il primo successo radicale, il divorzio, Angiolo costituì un fermo presidio per il gruppo individualista e disordinato che ruotava intorno a Pannella. Fece da pivot per Agenzia radicale, un ciclostilato quotidiano che per un decennio riprese notizie radicali da tutto il mondo, informazioni che pazientemente il professore traduceva e impaginava. Divenne segretario del minipartito di poche centinaia di militanti nel 1968 senza tuttavia venire meno al suo impegno di professore e al gusto di chi legge e scrive per sé stesso. Fece un rapido passaggio alla Camera dei deputati senza mai pretendere quel cursus politico che avrebbe meritato.

 

Aveva tutte le qualità per divenire un intellettuale con un importante ruolo pubblico se non fosse rimasto per sempre fedele all’eresia radicale. Tra il 1959 e il 1963 Mario Pannunzio si giovò della sua collaborazione al Mondo e, oltre a dirigere giornali radicali, continuò a fare lo scrittore e il traduttore letterario in cui eccelleva. Pubblicò un volume di poesie Scritture del tempo, alcuni racconti tra cui Giardini crudeli e, nel 2015, il volume Sette donne. I suoi pensieri divennero arguti libriccini tascabili editi da Stampa alternativa di Marcello Baraghini che deliziavano noi vecchi amici e i tanti giovani che lo ritenevano solo un militante politico. Pubblicò nel 1987 l’edizione originale francese di Socialisme liberal di Carlo Rosselli con una prefazione che rivelava il lato storico-politico della sua cultura. Incontrò infine Il Foglio che finalmente gli diede la possibilità di esprimere sulla pagina di un quotidiano le qualità di scrittore raffinato capace di pescare negli angoli preziosi della letteratura e dell’arte del Novecento che aveva conosciuto in famiglia.

Di suo padre, buon pittore della scuola romana, conservava con cura una galleria di dipinti da cui non volle mai separarsi. Giuliano Ferrara nella prefazione di Racconti evangelici del 2017 scrisse “I racconti evangelici di Angiolo Bandinelli sono un antidoto al patetismo nichilista del Novecento, anche nella sua massima espressione che è il Voyage di Céline”. Quando il Partito radicale si disgregò in diversi rivoli, Bandinelli restò fedele all’ala che riteneva Pannella il riferimento imprescindibile di una eresia politica che aveva avuto un ruolo primario nella Repubblica proprio grazie al leader. Il ricordo che preferisco esprimere qui da vecchio compagnon d’antan è la nostalgia per una persona che, ancor più della fedeltà politica, ha conservato per l’intera sua vita una fedeltà umanistica che abbiamo amato.

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