No, caro Landini: lo sblocco dei licenziamenti non è stato una catastrofe

Claudio Cerasa

Allarmi smentiti. La decisione del governo di sospendere il blocco non ha prodotto l’ondata di licenziamenti e le altre calamità previste dai sindacati. Numeri utili per i talk show

Nei complicati meccanismi dell’informazione italiana, l’allarmismo e il giustizialismo sono spesso due facce della stessa medaglia e sarà capitato chissà quante volte anche a voi di notare il diverso trattamento riservato dai giornali a una notizia che riporta un allarme (o un’indagine) e a una notizia che riporta un allarme smentito (o un’indagine archiviata). Il meccanismo è sempre lo stesso. Una notizia che può creare panico, o zizzania, trova con molta facilità spazio sulla prima pagina di un quotidiano, mentre una notizia che smentisce il panico, o la zizzania, tende a essere collocata spesso e volentieri in un boxino, in basso a sinistra, a pagina cinquanta.

  

Il caso che vi raccontiamo oggi riguarda una storia di cui molto si è parlato a metà dello scorso anno quando il governo ha scelto di sospendere il blocco dei licenziamenti. Ricordate cosa si disse? Vi rinfreschiamo la memoria. I sindacati, lo disse il segretario della Cgil Maurizio Landini, dissero che con lo sblocco dei licenziamenti ci sarebbe stato “uno sgretolamento del tessuto sociale”, ci sarebbe stato “un imbarbarimento delle relazioni umane”. Dissero questo e dissero anche altro. E il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, disse, per esempio, che “quella che si prospetta con la fine del blocco dei licenziamenti è una bomba sociale e i nostri dati parlano di una platea di due milioni di lavoratori ai quali bisogna dare una risposta”.

  

Agli allarmi, come ricorderete, fu dato molto spazio. Ma a distanza di alcuni mesi dagli sblocchi voluti dal governo Draghi (il 30 giugno è finito il blocco dei licenziamenti per l’industria e l’edilizia, il 31 ottobre è finito il blocco dei licenziamenti per i servizi) misteriosamente i giornali e i talk-show hanno scelto di non dare grande rilievo ad alcune notizie controfattuali che ci aiutano a capire se l’allarme sbandierato era o no un allarme giustificato.

  

Non ci crederete ma la risposta è no: l’allarme dei sindacati non era giustificato. E a dirlo non sono gli imprenditori, brutti, sporchi e cattivi, ma sono i numeri messi insieme a gennaio dal ministero del Lavoro, dalla Banca d’Italia e dall’Anpal, che sfruttando i dati contenuti nelle Comunicazioni obbligatorie e nelle Dichiarazioni di immediata disponibilità  al lavoro sono arrivati alla seguente conclusione: “I licenziamenti sono rimasti su livelli mediamente modesti (27.000 contratti cessati ogni mese con questa causale nella media del 2021, circa il 40 per cento in meno rispetto al 2019); gli incrementi registrati nei mesi immediatamente successivi alla rimozione dei vari blocchi appaiono avere natura temporanea e verosimilmente riflettono esuberi già previsti nei mesi precedenti”.

 

Dunque non solo non c’è stata, da parte degli imprenditori brutti, sporchi e cattivi, la corsa a licenziare, ma il livello dei licenziamenti è stato inferiore rispetto a quello registrato nell’anno prima della crisi.

 

Una notizia interessante che se i giornali e i talk volessero approfondire potrebbero unire a un’altra notizia ugualmente trascurata che arriva dal bollettino di gennaio di Bankitalia. Siete seduti? Ecco qui: “Rispetto al 2019, nel 2020 si sono verificati meno fallimenti e, più in generale, meno uscite dal mercato, con una tendenza confermata anche nel 2021. In aggiunta alla sospensione delle istanze di fallimento, tale riduzione è riconducibile a un ampio insieme di misure di sostegno alle imprese adottate dal governo”. Nel 2020, il numero dei fallimenti e quello delle uscite dal mercato, grazie a tre misure volute dal governo Conte, la moratoria sul rimborso dei prestiti, le garanzie pubbliche su nuovi prestiti e i contributi a fondo perduto, sono stati inferiori a quelli del 2019, rispettivamente del 33 e 27 per cento, e anche nel 2021, scrive Bankitalia, il livello dei fallimenti si è mantenuto al di sotto di quello del 2019.

  

Meno licenziamenti del previsto, meno fallimenti del previsto. Per gli allarmismi ci si vede in prima pagina. Per gli allarmismi smentiti ci vediamo in un boxino a pagina cinquanta.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.