A Chigi

Le carte di Draghi. Incontra Salvini, tifa Cav. Confida nell'asse Giorgetti-Meloni

Carmelo Caruso

In un palazzo di Via Veneto, segreto, i due si incontrano. La trattativa resta aperta. Il premier continua a ripetere che non può sottomettersi a i partiti perchè questo passaggio è la sua prova di leadership

E’ dunque il “portone di sicurezza”, al posto dell’uscita, la soglia che, comunque vada, deciderà questa elezione. Ed è in ogni caso “dolce”, come può essere la fine e quindi la vita, anche solo per quel trucco di scena, per la scelta condivisa da Mario Draghi e Matteo Salvini,  di incontrarsi, ieri, in un palazzo di Via Veneto che resta la strada caos, il circo di Fellini. Draghi e Salvini sono stati infatti visti uscire da “un portone” perché, dopo la catastrofe del voto Casellati, e della carta Belloni, anche i leghisti dicevano: “Draghi ha bisogno dei suoi voti per essere eletto presidente  e Salvini di Draghi  se non vuole perdere la faccia”.


Si sono parlati ieri, ed erano circa le 18, quando gli staff di Draghi e Salvini concordavano che la formula dovesse essere la stessa “no comment”. E però da Palazzo Chigi dove, di mattina si assisteva allo spoglio, al fallimento dell’operazione “Betty”,  qualcosa penetrava, ed era una piccola speranza. L’incontro era giudicato “positivo” che è un aggettivo bianco, quegli aggettivi che come le spugne attraggono ogni cosa. Era “positivo” nonostante, pochi minuti dopo, era il nome della Belloni, l’ennesimo, (bruciato, e siamo a due) quello che “usciva” come il nome forte di Salvini e di Giuseppe Conte.

 

Qui, in Italia, oltre all’uomo forte anche la donna deve esserlo se vuole fare carriera. Ed era forse per scherzare, ma neppure tanto, ma sempre a Palazzo Chigi, in mezzo a quella comunità di funzionari che in questi mesi si è affezionata a Draghi, si commentava questa roulette russa di Salvini con sgomento: “Di mattina ha candidato una donna, di sera ancora una. Speriamo che domani non bruci un altro nome, e sempre un nome di donna”. E dunque era “indispensabile”, questo incontro tra Draghi e Salvini, anche solo per studiarsi nuovamente, fosse pure per l’ultima. Non si è saputo neppure dove sia avvenuto realmente. C’era chi giurava di averli visti uscire “dal portone” del Mise e che quindi ci fosse la regia di Giancarlo Giorgetti, ma al Mise assicuravano che non fosse quello “il portone” giusto.

 

Ma bastava la notizia che Draghi si fosse “mosso” per rilanciare un negoziato. Se non sarà eletto presidente della Repubblica si deve sapere che il motivo è stato questo: ha negoziato (e continua) ma non accetta la sottomissione. Ha chiamato, ragionato (e ragiona) con i leader, ma non può promettere un governo “come tu mi vuoi”. La sua idea è che questo passaggio, questa elezione del Quirinale, sia anche una “prova di leadership”. E lo testimoniano pure i leghisti: “Ma voi credete sul serio che Salvini abbia il coraggio di chiedere a Draghi un ministero? E’ tutto molto più semplice. Quando Salvini incontra Draghi si ferma a parlare del generico”.

 

E forse si spiega così questa idiosincrasia, dicono personale, nei confronti di Draghi, quella che da giorni gli fa ripetere: “Lui, no!”. Si chiama soggezione. Berlusconi, il solo capace di comprendere che il “no” è sempre una simpatica menzogna e che non esiste mai un “no” definitivo, tranne quello di alcuni siciliani che ripetono “io perdono, ma non dimentico”, dicono che sia stato molto colpito dalla telefonata di Draghi. Il premier, che lo conosce raccontano che sia affascinato dalla sua capacità di persuasione. E ha ragione a nutrirla. Quando la candidatura della Belloni si faceva più concreta, parliamo di minuti, da Forza Italia si faceva sapere che l’idea di avere due tecnici, uno a Chigi, e un altro al Quirinale, era troppo. E’ Berlusconi la carta coperta di Draghi.

 

Giorgia Meloni, che perfino Andrea Orlando lodava, perché come lei ha una cultura e una scuola politica, assicurano continuasse a puntare (in segreto) su Draghi. E aggiungevano pure che attraverso l’arabesco, un percorso geometrico difficile, ci ragionasse con Giorgetti. Non si vuole dire che si prendono ma che su Draghi convergono. Giorgetti, che parla con il corpo anche quando sta zitto, veniva sfidato da un giornalista: “Se non dovesse passare Casellati, Salvini non farebbe una figura indegna?”. E lui rispondeva: “Eh”. Era come il “boh” di Bersani. In due lettere c’è un’enciclopedia. Non è quindi solo “un portone”, quello che ha avvicinato Draghi e Salvini. Lo spiegava un deputato della Lega: “E’ vero che resta l’ipotesi Mattarella ma sarebbe un fallimento politico. Draghi è ancora il suo portone di sicurezza se Salvini non vuole essere messo alla porta”.

 

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio