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Il racconto

"Scivoliamo verso Draghi". La consapevolezza di Conte stretto fra Letta e Di Maio

I tormenti dei grillini sull'ex banchiere e le manovre del Nazareno: non è semplice, ma a sinistra qualcosa si muove. Intanto Casellati scherza con Fico: "Come andrà scritto il mio nome sulla scheda?"

Simone Canettieri

Il capo del M5s vede gli alleati di Leu e Pd poi va alla Farnesina: lungo concialiabolo con Tajani e alla fine sigla un accordo con Di Maio. Che gli dice: "Giuseppe, non devi terrorizzare i gruppi, devi fare un patto di legislatura" 

“Stiamo scivolando verso Draghi”. Giuseppe Conte arriva a questa conclusione.  Prova a non subirla, nega che sia questo l’approdo, dice di avere un coniglio accucciato nel cilindro, poi torna alla realtà, fa i conti con l’aereo più pazzo del mondo (il gruppo parlamentare che dovrebbe comandare, quello del M5s) e rieccolo al punto di partenza. Di prima mattina l’ex premier fa colazione a casa con Enrico Letta e Roberto Speranza.  Dopo tre ore esce un triplice tweet fotocopia (idea del segretario Pd, mutuata dai colleghi tedeschi) per dire che i rossogialli sono uniti, nella responsabilità e senza diritto di prelazione del centrodestra. Conte e Letta, ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi, si rivedono alla Farnesina per la commemorazione di David Sassoli. E qui c’è molto da raccontare. 


La cerimonia d’intitolazione  della sala dei Trattati a Sassoli è appena terminata. Scende raggiante dallo scalone del ministero degli Esteri Elisabetta Casellati, quirinabile. Saluta Roberto Fico: “Scusami Roberto, ma per votarmi cosa dovranno scrivere nella scheda? E. Casellati o solo Casellati?”. Segue risata fragorosa della seconda carica dello stato, Fico annuisce: nei giorni scorsi ha fatto sapere che non sarà possibile segnare le schede. Scende Enrico Letta che al Foglio dice: “Siamo aperti a tutte le soluzioni sul Colle”. Ma riuscirà a portare il M5s su Draghi? Smorfia del segretario Pd: “Ora è complicata, vediamo”.

Eppure nella sinistra Pd qualcosa pare si stia muovendo verso l’ex banchiere. In mattinata gira questa dichiarazione di Andrea Orlando che parla di “Draghi come carta fondamentale da non bruciare”. Il ministro del Pd, ultimo rampollo di una certa tradizione rossa, quando parla non lo fa mai per caso (anche se andava in tv a dire “Conte o morte” e adesso siede in Cdm).

Letta è cauto: “Dice che è cosi?”. Goffredo Bettini, per la cronaca, pare che abbia cambiato nuovamente posizione. Anche lui ora è per Draghi e lo descrivono intento a fare telefonate con la Lega per costruire il governo che verrà (il monaco dem ormai è preceduto dalle leggende, va detto).

In verità il Pd in questo momento gioca su tre fronti. Il primo si chiama Mario Draghi, il secondo Mattarella bis, il terzo è il famoso nome condiviso con il centrodestra. Purché non sia Silvio Berlusconi. Allora bisogna salire al primo piano del ministero. Colpo d’occhio: Antonio Tajani e Giuseppe Conte conversano. Parlano dodici minuti. Il numero due di Forza Italia spiega a questo giornale che se il Cav. capisce che non ha i numeri non scenderà in campo: “Non farà il candidato di bandiera”.

E su Conte spiega che anche loro insomma non sono messi bene. Ecco, dove si è ficcato l’ex premier? Scomparso. Basta piazzarsi dietro l’ufficio di Luigi Di Maio. I due grandi nemici del M5s sono a colloquio.    Conte  è andato a Canossa. Al ministro degli Esteri, forse glielo avrà detto Tajani, assicura che dalle notizie che ha Berlusconi farà un passo indietro. I due siglano un patto di non belligeranza (almeno per questa mattina). Di Maio è draghiano (anche se i contiani dicono il contrario). E suggerisce al capo politico del M5s di “non terrorizzare i gruppi, ma di rassicurarli”. Come? Con un soffice “patto di legislatura” con gli altri leader che suoni così: cari onorevoli faremo un altro governo, ma tranquilli la pacchia finirà a scadenza naturale. Dunque nel 2023. Conte spiega a Di Maio che non è contro Draghi, ma che teme lo “sfarinamento dei gruppi” e soprattutto il dopo: le trattative per i ministri, i posti di sottogoverno. I due si bevono un caffè molto lungo. Non chiamano Beppe Grillo, come avrebbero fatto una volta per farsi dare una benedizione. Non è aria. Il Garante naviga in acque agitate: quelle dell’armatore Onorato.

Tutto precipita alla fine in Parlamento, però. Prima scena a Palazzo Madama:  fra grillini ed ex grillini, Primo De Nicola ed Emanuele Dessì, c’è la forte convinzione che Draghi avrà più franchi tiratori di Romano Prodi.   Passa Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Pd, molto più morbido sull’ipotesi Draghi: “Non precludiamoci strade”.   In serata, in cabina di regia con il M5s, Conte    dice che si potrebbero mandare emissari al Quirinale per sondare il bis di Mattarella. Ma tanto tutti aspettano  Berlusconi. Poi potrebbe scattare la corsa ad arrivare primi su Draghi e a non scivolare.
 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.