l'anniversario

La parole di Macaluso, a un anno dalla morte. Appunti da un'intervista 

Valter Vecellio

Il 19 gennaio 2021 se ne andava Emanuele Macaluso. Frammenti di una puntata di Tg2 Dossier nel quale parla di Sciascia, suo fraterno amico, della storia d'Italia e inevitabilmente anche di sé. "Leonardo, nei metodi del Csm, vedeva i limiti e le storture della giustizia"

Gli “appunti” che seguono sono relativi a una lunga intervista, solo in parte poi trasmessa in una puntata di “Tg2 Dossier” dedicata a Leonardo Sciascia. Credo sia l’ultima intervista televisiva che rilascia da Emanuele Macaluso. Parla del suo fraterno amico, ma anche di giustizia, di come viene amministrata; e inevitabilmente anche di sé: con grande lucidità e capacità di vedere e comprendere le cose dell’oggi e del domani. 


     

  

“Ho conosciuto Leonardo Sciascia nel 1941, pieno fascismo. Ero un po’ più giovane di lui, e avevo già aderito alla cellula comunista di Caltanissetta. Leonardo studiava all’istituto magistrale, era molto amico di un altro ragazzo che però studiava al liceo: si chiamava Gino Cortese. Leonardo con lui ha avuto un rapporto che è proseguito nel tempo. Gino lo introduce non solo all’antifascismo militante, ma nell’ambiente comunista, anche se Leonardo non si è mai iscritto al PCI…

    

Sciascia questo rapporto lo racconta in alcune pagine delle “Parrocchie di Regalpetra…

“Sono episodi anche divertenti: Leonardo, per esempio, racconta che Gino andava al Gruppo Universitario Fascista, e lì declamava i discorsi di Stalin, ma dicendo che si trattava dei discorsi che aveva fatto un gerarca fascista; e quelli se la bevevano...”.

    

Una bella amicizia, la vostra…

“Un rapporto molto forte e affettuoso. Certo, abbiamo avuto anche momenti di scontro politico. Leonardo era molto saldo nelle sue convinzioni, e anch’io. Però nessuno dei due ha mai messo in discussione l’amicizia che ci ha sempre legato. Ho voluto ricostruire questa nostra amicizia, ne ho ricavato un libro, “Leonardo Sciascia e i comunisti”, dove racconto di questo nostro rapporto… Però, al di là di questo, c’è una cosa che mi preme, e la voglio dire soprattutto ai giovani, a chi certi giorni non li ha vissuti perché è nato dopo: Leonardo con i libri che ha scritto, con i suoi articoli, ci manca. Ora che non ci sono più, lui e Pier Paolo Pasolini, si avverte un grande vuoto. Hanno animato battaglie politico-culturali come nessun altro ha saputo fare… Leonardo, in particolare, protagonista su un terreno ancora oggi fondamentale, quello della giustizia. Aveva l’autorità, il coraggio di sostenere queste battaglie garantiste sulla giustizia, la sua è stata una voce fondamentale. Ha avuto un valore fondamentale nella formazione politico-culturale del nostro Paese: quei dibattiti sulla giustizia hanno avuto un carattere e un senso che oggi purtroppo non vedo più. Leonardo non è stato solo un grande scrittore, era anche un grande italiano; e un uomo dell’Europa, ha incarnato il meglio che questo Paese poteva esprimere”.

     

Con il Partito Comunista entrò in fortissima collisione…

“Politicamente sappiamo tutti come sono andate le cose: lui non si è mai iscritto al PCI; ma in un certo periodo ha avuto rapporti di vicinanza con il partito; è stato anche candidato come indipendente al consiglio comunale di Palermo, ed eletto. Poi, dopo qualche mese, si è dimesso, per profondi dissensi con Achille Occhetto, che allora era il segretario regionale del partito in Sicilia. Sciascia era contrario al compromesso storico, e accusò Occhetto di contrattare con la Democrazia Cristiana di allora. Da allora il giudizio sul PCI via via ha assunto toni sempre più aspri, e ci sono state polemiche molto dure, con il gruppo dirigente del partito. Alla fine, è approdato alle sponde del Partito Radicale, di cui è stato anche deputato nazionale ed europeo. Capisco che si sia trovato a suo agio: nel Partito di Marco Pannella ha avuto la possibilità di esprimere i suoi convincimenti, sulla giustizia e il resto, senza alcun tipo di condizionamento o vincolo. Penso sia stata questa la “chiave” che ha trovato nei radicali. Leonardo era una persona gentile. Molte volte nella polemica era aspro, però non era astioso. Era capace di recuperare sempre un rapporto, con le persone con cui polemizzava”.

     

Uomo buono, le pare una definizione riduttiva?

“No, tutt’altro”.

   

Lo chiedo perché ha fatto cenno alle sue polemiche dure…

“Erano polemiche aspre. Quando pensava di dire cose giuste, faceva ricorso a parole molto forti. Era la sua cifra: aveva convincimenti forti, soprattutto sul terreno della giustizia, sul terreno dei diritti…”.

   

Gli hanno scagliato accuse incredibili, l’ultima polemica, quella sui “professionisti dell’antimafia”… Credo che quella l’abbia particolarmente ferito…

È stata una cosa ignobile. Una cosa vergognosa e ignobile, quella del cosiddetto Comitato Antimafia di Palermo… ne facevano parte alcuni personaggi che non voglio neppure nominare… Si sono permessi di definire Leonardo un quaquaraquà, perché aveva espresso un’opinione che non coinvolgeva tanto – era solo un esempio – Paolo Borsellino, quanto un metodo di affrontare la questione delle carriere dei magistrati…”.

    

Borsellino valutato con il criterio del merito, Giovanni Falcone con quello dell’anzianità…

“Esattamente. Leonardo non era assolutamente offensivo nei confronti di Borsellino; criticava un metodo. Del resto, è lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura che poi tratta Falcone nel modo in cui sappiamo, e arrivano le accuse vergognose di alcuni cosiddetti anti-mafiosi…”.

     

Falcone accusato di celare la verità sui delitti eccellenti che avevano insanguinato la Sicilia…

“…di tenere chiuse nel cassetto le cose contro Giulio Andreotti e Salvo Lima. Una cosa inaudita. E tuttavia Falcone si trova costretto a difendersi al CSM… Oggi lo vediamo, con tutto quello che viene fuori, se Leonardo aveva o no ragione… Aveva perfettamente individuato nei metodi del CSM i limiti e le storture del Consiglio stesso. I fatti recenti ci dicono che le sue polemiche non erano campate in aria o strumentali…”.

   

Hanno detto che ‘Il giorno della civetta’ è un racconto che esalta il capo-mafia Mariano Arena, e fa piacere alla mafia, che sia stato scritto…

“Questa sciocchezza, purtroppo è stata detta da uno che è stato parlamentare della sinistra… E’ la stupidità più clamorosa che mi è toccato sentire su Leonardo. Quel libro, ‘Il giorno della civetta’, è il primo romanzo che ha fatto capire all’Italia e al mondo cos’è la mafia siciliana: l’idea che fosse una delinquenza organizzata, con personaggi che avevano un rapporto politico con la politica, ma anche con la popolazione. Perché vede, la grande mafia, quella che ha contato, aveva sì un rapporto politico con il potere, ma anche con la popolazione: i mafiosi risolvevano i problemi, erano una specie di tribunale per dirimere questioni e contrasti… Mariano Arena era anche questo. Se questo rapporto non c’è, si deve parlare di delinquenza più o meno organizzata; ma la mafia ha questa peculiarità… Con ‘Il giorno della civetta’ Sciascia ci fa capire che cos’è stata la certa mafia negli anni Cinquanta e Sessanta. Se non si comprende la diversità costituita dal rapporto con la politica, l’establishment, il popolo, non si capisce nulla della mafia; e soprattutto come mai vive e opera da più di cento anni”.

   

Ne ‘Il giorno della civetta’ Sciascia indica anche il modo per contrastare la mafia, seguire le tracce lasciate dal denaro…

“Sì: lavorare nelle banche e negli istituti di credito, e colpire i mafiosi dove sono più sensibili: il denaro. Ma c’è anche un’altra ‘lezione’. Il capitano Bellodi alla fine se ne va, torna a Parma. E’ quello che accadeva, che è successo: anche nelle forze dell’ordine, come nella politica, una parte era compromessa con la mafia e non faceva tutto quello che avrebbe potuto fare; un’altra la combatteva… Il capitano Bellodi incarna il modo di fare e di pensare di una parte importante delle forze dell’ordine, in contrapposizione di un’altra, che era come sappiamo, compromessa”.

   

Quando ha accettato di candidarsi nel Partito Radicale: ne è rimasto sorpreso? Immagino che ne abbiate parlato…

“Sorpreso no. Mi ha raccontato che Pannella è andato da lui a Palermo. Pannella sappiamo come era capace di coinvolgere le persone. Leonardo ha capito che in Parlamento avrebbe potuto fare quello che voleva in piena libertà, soprattutto lo intrigava la vicenda Moro; ha fatto parte della commissione parlamentare, e ha scritto una bella relazione di minoranza… Questa credo sia stata la molla: era convinto che altrove avrebbe dovuto rispondere al Partito. Ma con Pannella non c’era un Partito; i radicali erano qualcosa di diverso. Leonardo aveva da rispondere solo alla sua coscienza, i radicali avrebbero accettato tutto quello che lui riteneva utile e giusto dire e fare. Cosa che effettivamente è accaduta…”.

   

La vicenda Moro: vi siete trovati su fronti opposti…

“Su quella vicenda non mi convince la posizione assunta da Leonardo. Allora mi schierai per la ‘fermezza’… Ci ho pensato spesso, è una vicenda che mi ha toccato nel profondo… Penso che la fermezza sia servita per distruggere le Brigate Rosse. Sarà giusto, sarà sbagliato, ma questo è il mio convincimento… Nella relazione di Leonardo ci sono punti che non condivido, ma dal punto di vista letterario è uno scritto bellissimo…”.

   

Cosa resta, oggi, di Sciascia?

“Resta il complesso della sua opera. Un patrimonio importante che ci ha lasciato è la sua battaglia per la giustizia. Mai come oggi si avrebbe bisogno di lui, di una grande personalità come la sua. C’è un vuoto, da quando se n’è andato, che nessuno ha saputo colmare…”.

   

Di più su questi argomenti: