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Salvini, il leader che non c'era

Salvatore Merlo

Il leader della Lega può guidare la corsa al Quirinale e invece fa solo tweet sulle bollette. Dai giochi che si muovono dentro e fuori dal Parlamento in vista del 24 gennaio manca solo lui 

Tutti parlano di Quirinale, o almeno ci provano. E allora Enrico Letta riunisce il Pd il 13 gennaio, mentre Silvio Berlusconi fa shopping nei ranghi in saldo del M5s (“ho cinquanta voti dei loro”) e Giorgia Meloni si guarda intorno preoccupata da un gioco che a destra langue ma non è lei a dover gestire. Insomma si fanno tentativi, dentro e fuori dal Parlamento, pur nel disordine satollo d’inizio anno, pur nel caos sgrammaticato della Seconda moribonda Repubblica. Praticamente tutti provano a darsi da fare, con quello che hanno, come possono, tanto più si avvicina il 24 gennaio, data della prima convocazione del Parlamento in seduta comune.

Tutti, dunque, tranne lui: Matteo Salvini. Sospeso tra effusioni appassionate (nella nuvola  social)  e una stanchezza ottusa  (nella realtà politica).  Padrone del più cospicuo pacchetto di voti presidenziali, incaricato da un destino incongruo d’essere regista e motore dell’elezione del capo dello stato, tra l’invocazione lamentosa d’un  “tavolo per il Quirinale” e la pubblicazione di decine di fotografie Instagram sui presepi  vandalizzati durante le feste, il leader del centrodestra  non  ha stabilito  una parvenza di rapporto civile con Letta, quasi non parlassero la stessa lingua. D’altra parte lui  non parla nemmeno con Renzi e diffida di Meloni. Se alza il telefono, chiama tutti, pure Fratoianni, e poi lo comunica alle agenzie: sempre confondendo rappresentanza e rappresentazione.  In compenso, l’uomo che potrebbe dare le carte nel poker presidenziale si occupa ogni giorno  (e ovviamente soltanto sui social) del caro bollette e dell’aumento dei prezzi dell’energia. Ogni giorno una sparata vaga su Twitter (come se non stesse al governo), una richiesta esplosa nell’aria di Facebook, nuvole gassose  che non stupiscono  nessuno, perché – si sa – il  talento di Salvini è la propaganda.

 

Eppure queste forme di svagata inconcludenza impensieriscono quei pochi che intorno al segretario leghista non sono persuasi dell’impoliticità della politica, ovvero pensano che quel che conta alla fine siano i fatti e l’esercizio del potere. Non i selfie. E allora: “Matteo, twitta di meno e fai qualcosa”. Ma cosa? Salvini subisce l’iniziativa di Berlusconi e non sa  liberarsene. Dicono non sia convinto della candidatura del Cavaliere: quali effetti avrebbe sullo spread e sul piano internazionale, l’elezione di Berlusconi? Ma questo ex camicia verde ed ex consigliere comunale di Milano chiamato dallo spirito del tempo   a  esercitare un ruolo decisivo  per gli assetti istituzionali d’Italia non trova in se stesso la forza, la fantasia e nemmeno quel genere di risorse intellettuali e personali  che caratterizzano un capo politico e gli consentono di fare il suo mestiere.   Il coraggio, l’intuito,  il rispetto, e se non l’amicizia almeno  la fiducia. Nessuno si fida di lui, e lui non si fida di nessuno. Non della Meloni, che invece potrebbe essere utilizzata come mediatore visto che è rispettata a sinistra, né degli avversari  con i quali Salvini non ha confidenza perché  si è sempre disinteressato di tutte quelle cose che in politica richiedono preparazione, tempo e fatica.

 

Si è isolato persino dai leghisti più esperti nelle questioni di Palazzo, ha rotto con Giancarlo Giorgetti, e circondato da un piccolo club di garantiti (da lui) che lo asseconda sempre,  si scopre  sprovvisto di rapporti ed esperienze  che in queste ore gli sarebbero utili. Non sa come arginare Berlusconi, come sgombrare il campo e conquistare lo spazio per un’iniziativa. Potrebbe determinare l’elezione del capo dello stato.  Ma niente. E il guaio, raccontano, è che lui  nemmeno se ne rende conto. Twitta sulle bollette.  Fino all’azzardo paradossale di sperare che sia la sinistra a liberarlo dal Cavaliere. In pratica scommette sul riflesso condizionato del popolo viola e dei girotondi. E che Dio lo aiuti.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.