L'analisi

Il ministero del Lavoro celebra il Reddito di cittadinanza, ma ne certifica il fallimento

Valerio Valentini

Mimmo Parisi è andato via, la propaganda dell'Anpal no. La surreale conferenza stampa del commissario scelto da Orlando evidenzia il flop delle politiche attive.  Degli 1,8 milioni di beneficiari occupabili, solo un quarto viene contattato dai navigator; di questi, solo un terzo trova lavoro. Si tratta cioè dell’8,3 per cento dei percettori del Rdc occupabili. E solo lo 0,5 per cento ottiene lavori stabili

Si sperava che la stagione della mistificazione di governo sulle cifre del Reddito di cittadinanza fosse finita col siluramento di Mimmo Parisi. E invece tocca constatare come l’abitudine di piegare statistiche e percentuali alle esigenze della propaganda continui, dalle parti del ministero del Lavoro, anche ora che l’Anpal, l’Agenzia per le politiche attive, è stata sottratta al controllo del famigerato “papà dei navigator” voluto dal M5s e assegnata a un commissario straordinario, Raffaele Tangorra, scelto da Andrea Orlando. E così, un dossier che, secondo i parlamentari del M5s ha avuto il merito di “confutare la tesi per cui il Rdc non serve ad aiutare la ricerca del lavoro”, dimostra a ben vedere l’esatto opposto. E il fatto che il ministero del lavoro rivendichi come lusinghieri questi risultati, appare quanto meno surreale. Eppure è proprio così: perché la ricerca, presentata alla stampa dallo stesso Tangorra due giorni fa, certifica come l’apporto dei Centri per l’impiego nel sostegno alla ricerca di un’occupazione sia di fatto inconsistente (nonché difficilmente quantificabile), ribadisce come meno del 10 per cento dei beneficiari del Rdc che potrebbero trovare un lavoro lo trova effettivamente tramite i canali previsti dallo strumento, e conferma come sia “evidente la marcata difficoltà di uscita dalla condizione di povertà che ne ha determinato l’ingresso in misura”. Insomma il ministero del Lavoro incenerisce il Rdc, ma col piglio di chi vuole celebrarlo.

I dati parlano chiaro. Sui circa 3 milioni di beneficiari del Rdc (dati Inps e Istat), il report elaborato dall’Anpal prende in esame solo gli 1,8 milioni considerati “occupabili”, escludendo dunque i casi di più estrema fragilità e povertà. Dall’analisi risulta che i “beneficiari che hanno attivato nuovi rapporti di lavoro dopo l’accesso sono solo 546.598 unità, pari al 30,2 per cento del totale degli occupabili. E già questo non appare un risultato lusinghiero.

C’è però da chiedersi quanti di questi 546 mila percettori del Rdc abbia trovato un lavoro grazie ai Centri per l’impiego e ai navigator. E qui tutto diventa vago e fumoso, come avviene da anni, ogni volta che gli studi dell’Anpal arrivano a questo punto. E infatti il dossier presentato da Tangorra si limita ad ammettere come “sia ancora relativamente bassa la quota di beneficiari presi in carico dai Centri per l’impiego”. Il dato lo si deve ricavare da un altro report Anpal, dell’ottobre scorso: dove si scopre che “i beneficiari che hanno sottoscritto un Patto per il lavoro” al 30 settembre 2021 sono appena 420.689. Significa dunque che tre beneficiari su quattro di quanti potrebbero trovare un lavoro non viene neppure contattato dai Centri per l’impiego. E forse non è una sciagura, viene da dire. Perché il ministero del Lavoro non ha mai saputo dimostrare quale sia la reale incidenza dei “navigator” nel rafforzare l’occupabilità dei percettori del Rdc: la sottoscrizione del “Patto per il lavoro” non è altro che la semplice firma di un documento, a cui spesso nulla fa seguito.  E i numeri, sia pur implicitamente, stanno lì a dimostrarlo. “Tra chi risulta essere stato preso in carico da un Centro per l’impiego la quota di beneficiari con almeno un rapporto di lavoro risulta essere pari al 31,8 per cento, a fronte del 29 per cento registrato tra chi non ha sottoscritto alcun Patto”. Eccola, la differenza: 31,8 contro 29 per cento. Eccola, fotografata impietosamente, l’inconsistenza delle famigerate politiche attive connesse al Rdc: un semplice rumore statistico. E non sorprende, dunque, che “meno del 15 per cento dell’occupazione creata tramite questo strumento risulti riconducibile  a rapporti di lavoro permanente”.

Ricapitolando, dunque. Degli 1,8 milioni di beneficiari che il ministero ritiene occupabili, solo un quarto si rivolge ai navigator; di questi, solo un terzo trova lavoro. Si tratta cioè dell’8,3 per cento dei percettori del Rdc occupabili. Di questi, solo uno su sei trova un lavoro stabile: si parla dello 0,5 per cento del totale degli occupabili. Un successo.

E così si arriva però al paradosso finale del report. Che si incarica di smentire la tesi sull’“eventuale effetto di allontanamento dalla ricerca attiva determinato dall’accesso al sussidio”. Tesi che, manco a dirlo, era stato lo stesso ministero del Lavoro a convalidare, in un precedente report elaborato dal Comitato scientifico presieduto da Chiara Saraceno e di cui faceva parte anche Tangorra. “Oggi, a un percettore del Rdc lavorare non conviene”, si scriveva in quel paper di ottobre. E invece no, sostiene ora lo stesso ministero: questo effetto di disincentivo non c’è perché i lavori trovati tramite il Rdc non garantiscono alcuna sicurezza ai percettori. Il Rdc, cioè, offre “una debole capacità di permanenza nell’occupazione, accompagnata da un’evidente altrettanto marcata difficoltà di uscita dalla condizione di povertà che ne ha determinato l’ingresso in misura”. E di nuovo, dunque, per difendere il Rdc, se ne certifica il fallimento. L’era di Mimmo Parisi non è ancora finita, malgrado Parisi.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.