Il variante Boris ora si sposta verso il modello Draghi

Luciano Capone

Il governo Johnson è costretto a cambiare strategia: nuove restrizioni e introduzione del pass. Così spacca il partito conservatore a Londra e delude i johnsoniani all’amatriciana a Roma

Fino a pochi giorni fa la strategia di Boris Johnson, che a luglio ha tolto ogni restrizione, veniva indicata come un modello anche in Italia dai critici del green pass. Ora, a poco tempo di distanza, soprattutto per l’arrivo della variante Omicron, non solo Johnson ha deciso di adottare il “Piano B” che prevede l’introduzione del green pass per alcune attività, ma si trova ad affrontare la sua più grave crisi politica per via di circa 100 parlamentari Tory ribelli che hanno reso determinante il voto dell’opposizione laburista per il sì alle nuove misure.

Così Johnson sul Covid ha cambiato posizione

Ma mentre Boris fa marcia indietro, o comunque adegua la propria azione al nuovo contesto epidemico, e cerca di affrontare la nuova ondata senza spaccare il partito, alcuni suoi supporter italiani continuano a sostenere l’efficacia di una strategia che lo stesso governo britannico ha accantonato. E’ una prospettiva straniante, che rischia di trarre in inganno anche i decisori politici italiani. Ad esempio Daniele Capezzone, l’unico commentatore letto da Matteo Salvini (così dice il leader della Lega), sulla Verità affermava che a Londra “pur compiendo scelte controverse e audaci, hanno fatto la scommessa giusta”: e così BoJo “con il Covid sotto controllo, rifiuta pass e obbligo vaccinale”. Il bello è che Capezzone continua a sostenere questa tesi proprio mentre Johnson cambia posizione, introducendo il pass e l’obbligo vaccinale per i sanitari. Ancora oggi, forte delle analisi dell’autodefinito “data analyst e intellettuale” Mario Menichella (che sconsiglia il vaccino sotto i 30 anni) e del filosofo sovranista Paolo Becchi pubblicate sul sito di Nicola Porro, Capezzone sostiene il green pass non solo sia liberticida ma anche controproducente. Anziché far aumentare le vaccinazioni, le avrebbe fatte diminuire: ha prodotto “un effetto di disincentivo e perfino di rigetto davanti a un’imposizione di stato, una sorta di obbligo stabilito surrettiziamente”.

 

  

Con tutto il rispetto dovuto per l’analisi di Menichella e Becchi (e per il sito nicolaporro.it), sul tema sono in tutta evidenza più solide e attendibili le conclusioni di uno studio di ricercatori dell’Università di Oxford appena pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet Public Health. Si tratta del primo studio empirico su ampia scala che misura l’effetto del green pass rispetto all’adesione alla campagna vaccinale. Le conclusioni sono che il pass adottato nei paesi considerati, tra cui l’Italia, ha fatto aumentare il numero di vaccinazioni sia nei 20 giorni prima dell’introduzione, per via dell’effetto annuncio, sia nei 40 giorni successivi. Com’è stato possibile arrivare a questa conclusione?

Lo studio di Oxford : il green pass ha fatto crescere le vaccinazioni

I ricercatori di Oxford hanno preso i dati di sei paesi in cui è stato introdotto il pass tra aprile e agosto (Danimarca, Israele, Italia, Francia, Germania e Svizzera) e li hanno confrontati con quelli di altri 19 paesi che non hanno introdotto il pass. Siccome è impossibile sapere cosa sarebbe successo all’Italia o alla Francia senza certificazione verde, i ricercatori hanno prodotto un “controllo sintetico”: hanno cioè usato un paniere di paesi simili come gruppo di controllo. La conclusione generale è che “la certificazione obbligatoria Covid-19 è stata associata a un forte aumento dei tassi di vaccinazione prima dell’implementazione e ha avuto un effetto duraturo, con tassi superiori alla media dopo l’implementazione”. Nello specifico l’effetto è stato significativo in Francia, Israele, Svizzera e Italia, mentre è meno chiaro in Germania e Danimarca (seppure i dati siano positivi). In Italia i dati mostrano 2,5 milioni di vaccinazioni in più nei 20 giorni prima dell’introduzione del green pass e 1,5 milioni dopo rispetto al gruppo di controllo, con un impatto che è stato molto più forte per le fasce d’età più giovani (18-24 anni e 25-49 anni).

 

Al di là del dato scientifico, lo studio ha una rilevanza politica dato che il governo britannico lo sta usando per persuadere i parlamentari conservatori, scettici sulle nuove misure restrittive, che chiedono una prova di efficacia per poter approvare l’uso del pass. E così membri del governo come il vice di Johnson Dominic Raab o il ministro della Salute Sajid Javid affermano che il pass è necessario per far salire il tasso di vaccinazione ed evitare misure restrittive ben peggiori, necessarie qualora Omicron dovesse prendere il sopravvento. Insomma, come il booster serve a rafforzare le difese immunitarie individuali, allo stesso modo il pass dovrebbe dare un boost alla campagna vaccinale rafforzando così le difese immunitarie collettive.

 

E’ esattamente la stessa logica che ha guidato l’azione del governo Draghi con l’introduzione del green pass, in anticipo sui tempi e in maniera rafforzata per le modalità. Ora anche Boris Johnson si sposta verso il modello italiano, a dispetto delle tesi dei johnsoniani all’amatriciana.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali