Così Draghi e Macron preparano un manifesto condiviso per una nuova Ue

Valerio Valentini

Il Patto di stabilità da riformare e la difesa comune da varare: sono i due obiettivi comuni di Roma e Parigi. Il premier italiano e il presidente francese puntano a una maggiore integrazione e a vincoli di bilancio meno stringenti, ma stringendo un patto col Ppe. E intanto si lavora a un articolo a doppia firma da pubblicare su un giornale internazionale

Il paradosso è che proprio ora che per lui viene il bello, potrebbe doverne uscire, almeno formalmente. Perché quello di domani, per Mario Draghi, rischia di essere l’ultimo Consiglio europeo da partecipante, se davvero i pronostici sulla sua apoteosi quirinalizia troveranno fondamento a gennaio. E però, come che sia, il 2022 può davvero essere l’anno della centralità draghiana, a Bruxelles. Centralità condivisa, per meglio dire. Garantita, cioè, da un asse franco-italiano che va rafforzandosi non poco, alla vigilia del semestre di presidenza di Emmanuel Macron. Il quale infatti, proprio insieme a Draghi, sta valutando un intervento condiviso. 

Draghi e Macron, l'idea di un manifesto per l'Ue

L’idea è, cioè, quella di una pubblicazione a doppia firma, magari un articolo su un giornale internazionale. Un documento che insomma dimostri la convergenza di obiettivi e di strategie, tra il presidente francese e il premier italiano, e che dimostri plasticamente la saldezza dell’asse tra Roma e Parigi in questa sfida continentale. Una sorta di manifesto programmatico se non dell’Europa che verrà, di quella che Macron vorrebbe che iniziasse a essere nel corso del suo semestre  alla guida del Consiglio europeo. Un appuntamento decisivo, per il leader di En Marche, che di fatto lo accompagnerà alla battaglia per la riconferma all’Eliseo, e che  sarà al centro  di un’intervista al capo dell’Eliseo in programma stasera su Tf1, la prima rete nazionale d’oltralpe. La riforma del Patto di stabilità e il varo della difesa comune: è su questi due punti che Macron e Draghi condividono la stessa urgenza di agire. Con risoluzione e  con cautela. Specie per quel che riguarda il dossier finanziario.

Spinoso come nessun altro, e come nessun altro decisivo per capire come l’Ue uscirà dalla pandemia. Perché nel 2023 tornerà in vigore il Patto di stabilità, proprio mentre il programma di aiuti  della Bce si esaurirà. Ecco perché è nel 2022 che si dovrà discutere dei nuovi vincoli  di bilancio. E sulla prospettiva che Draghi e Macron condividono, basta spulciare il “Programma di lavoro” allegato al recente Trattato del Quirinale per farsi un’idea: “Contribuire alle riflessioni sul futuro del Patto di stabilità e crescita, nell’ottica di un’Europa socialmente inclusiva, nonché della Procedura per gli squilibri macroeconomici e progredire sul completamento dell’Unione economica e monetaria, promuovendo l’introduzione di una capacità di stabilizzazione macroeconomica permanente dell’Eurozona, sostenendo  la creazione di risorse proprie”. 

E però, ovviamente, bisognerà confrontarsi coi falchi del nord. Possibilmente senza scontrarsi. E qui sta il senso della centralità di Draghi, insieme a quella di Macron, in questa partita. Perché, come alcuni dirigenti europei del Pd si sono sentiti dire dal vicepresidente della Commissione Frans Timmermans, “per i miei connazionali olandesi la sola persona che non desta sospetto quando parla di flessibilità è Draghi”. Che è poi una conferma di quello che lo stesso premier ripete spesso: e cioè che le regole sui conti non si cambiano con prove di forza, ma “convincendo i più scettici e togliendo loro alibi”. Ecco perché la perfetta attuazione del Pnrr è un passaggio fondamentale, in questa strategia. Che del resto tiene conto anche del nuovo equilibrio politico nel paese più importante del continente: e cioè quella Germania dove, è vero, si sono affermati i socialisti di Scholz, ma lo hanno fatto trovando un’intesa di governo con Verdi e Liberali, e con la benedizione sostanziale di Angela Merkel su quello che fino a ora è stato il suo vice.

Le manovre per il prossimo presidente del Parlamento europeo

Ed è in questo quadro che si spiega anche il tatticismo macroniano sul rinnovo della presidenza del Parlamento europeo. Alla sua truppa di Renew il presidente francese ha imposto finora la  regola dell’attendismo, e questo ha contribuito a dissuadere David Sassoli dall’insistere nel cercare una riconferma alla guida dell’Assemblea. Non perché Macron abbia nulla di personale contro di lui, anzi. Ciò che però in Renew vogliono scongiurare è la prospettiva di uno scontro frontale tra il Ppe, che ha già candidato la maltese Roberta Metsola, e i socialisti. Non è all’interno del fronte europeista, che vanno alimentate le divisioni, ma tra chi ha dato vita al patto di legislatura per Ursula  e i sovranisti di ogni risma: questo è il ragionamento offerto da Macron ai suoi europarlamentari. Per questo ora, dopo che ieri sera Sassoli ha annunciato il suo ritiro dalla corsa, si lavorerà per un nome  condiviso come suo successore. Ed è in quello schema, nel segno cioè di quella concordia tra forze che predicano una maggiore integrazione europea, che, secondo Draghi e Macron, si dovranno affrontare le sfide del 2022. Con una linea diretta tra l’Eliseo e Palazzo Chigi – o il Quirinale, ça va sans dire.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.