Sindacati, imprese, partiti, sindaci: Draghi è assediato

Claudio Cerasa

Per la prima volta dal suo arrivo a Palazzo Chigi, il premier si trova sotto un fuoco incrociato. Le manovre sul Quirinale, Salvini e il vaccino contro un’altra variante: la palude 

Per la prima volta dal suo ingresso a Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, si trova in una situazione nuova, non ordinaria, e che potrebbe essere sintetizzata con un titolo un po’ urlato: l’assedio. Draghi è arrivato a Palazzo Chigi in una stagione dominata dall’insindacabilità delle sue scelte e oggi, anche grazie a una gestione accorta della pandemia, la stagione che il presidente del Consiglio si trova davanti è dominata da un numero imprecisato di nemici che in modo più o meno affabile improvvisamente gli si presentano davanti. E il risultato è quello che ormai si vede a occhio nudo.

 

In Parlamento, Draghi gode di una maggioranza larga, larghissima, una delle più ampie mai viste nella storia della Repubblica, ma da quando Draghi ha fatto di tutto per non nascondere le sue ambizioni quirinalizie, il Parlamento che da mesi lo coccola ha cominciato a osservarlo con un filo di preoccupazione. Tema ovvio: ma non è che il tutt’altro che impossibile arrivo al Quirinale di Draghi rischia di accorciare la legislatura? Draghi non vuole spaventare il Parlamento, e tantomeno i partiti, e così dopo aver lasciato ai partiti (a) il compito di ridisegnare a propria immagine e somiglianza la nuova Rai e (b) di usare in modo del tutto discrezionale i 7 miliardi stanziati dal governo sulla delega fiscale ieri ha scelto lui in persona di aprire Palazzo Chigi a tutti i partiti presenti in Parlamento (persino il neonato partito di Toti e Brugnaro, Coraggio Italia) per discutere nei minimi dettagli della manovra che sarà. Draghi sa che la sua candidatura de facto al Quirinale (mai smentita pubblicamente) ha dato il là a una serie di giochi che prescindono dalla reale efficacia dell’azione di governo. E il risultato oggi è quello che si vede: tutti si sentono in dovere di chiedere a Draghi qualcosa di più.

 

C’è chi lo fa – è il caso di Confindustria, che in modo del tutto legittimo invita il presidente del Consiglio a dribblare la palude quirinalizia per dedicarsi in modo totalizzante all’attuazione del Pnrr – per far capire quanto sia importante avere Draghi a Palazzo Chigi per più tempo possibile. C’è chi lo fa – è il caso per esempio dei grandi sindaci italiani, tutti molto preoccupati per l’implementazione del Pnrr – per ricordare quanto sia importante non distrarre questo esecutivo dalla gestione di una partita che vale più di 200 miliardi di euro. C’è chi lo fa – è il caso dei grandi sindacati che da giorni minacciano di fare sfracelli se non assecondati sulla partita della manovra – sapendo che un capo del governo che si gioca le sue carte per il Quirinale è un capo del governo che può concedere qualcosa in più per mantenere la pace sociale (e sulla spesa corrente, la Commissione europea, attraverso la voce di Paolo Gentiloni e Valdis Dombrovskis, sei giorni fa ha già chiesto, letteralmente, una maggiore “attenzione”). C’è chi lo fa infine – è il caso di un numero imprecisato di partiti – con l’idea di usare la candidatura di Draghi al Quirinale come una piccola arma da sfruttare per ottenere magari qualcosa in più nei prossimi mesi a cavallo della manovra. Ieri pomeriggio, Matteo Salvini, in uno dei suoi non infrequenti riposizionamenti politici, ha detto, piuttosto clamorosamente, che il futuro di Draghi non lo immagina in questo momento al Quirinale ma lo immagina ancora a lungo a Palazzo Chigi. “Draghi sta lavorando bene e mi auguro che continui a lavorare a lungo e a fare il presidente del Consiglio”, ha detto ieri il leader della Lega, contraddicendo una sua dichiarazione, del primo novembre, nella quale sosteneva che “Draghi al Quirinale lo voterei subito”.

 

L’assedio non coordinato a Draghi avviene dunque su più fronti. Ma il fronte che forse vale la pena studiare con attenzione è quello che si evince proprio dalle parole di Matteo Salvini la cui improvvisa prudenza sul futuro dell’ex governatore della Bce al Quirinale è legata forse a una convinzione in fondo razionale: se i partiti devono tornare a contare di più, il modo migliore per farlo è lasciare che  Draghi affondi dolcemente nella palude di Palazzo Chigi. Naturalmente, non tutti coloro che sognano di tenere Draghi ben ancorato a Palazzo Chigi vogliono il male di Draghi, ma, pandemia o non pandemia, dovrebbe essere evidente a tutti che la fine della stagione dell’insindacabilità offre due strade evidenti per il futuro del presidente del Consiglio. La prima strada è scegliere di lasciarlo nella palude. La seconda strada è scegliere di metterlo al sicuro applicando alla lettera un’idea offerta dal segretario del Pd Enrico Letta alla festa del Foglio: fare tutto ciò che è necessario fare per costruire attorno al prossimo presidente della Repubblica una maggioranza non più piccola di quella che sostiene il governo. E chissà che strada facendo Enrico Letta e Matteo Salvini non trovino un modo per spiegare alle proprie coalizioni che per proteggere il futuro dei propri partiti è necessario portare il whatever it takes a proteggere il futuro dell’Italia per i prossimi sette anni.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.