EDITORIALI

Per il Pd scatta l'ora Draghi

Redazione

Letta e il dovere strategico di intestarsi il passaggio del premier al Quirinale

L’intenzione di Sergio Mattarella di non accettare un secondo mandato è ormai chiarissima. Lo era, per la verità, anche prima delle più recenti dichiarazioni, ma nel Pd si continuava a nutrire la speranza, o l’illusione, che la gravità della situazione potesse indurlo a cambiare idea. A Enrico Letta, che ha bisogno di tempo (e forse anche di altro) per costruire l’alleanza “larga” sulla quale punta per battere il centrodestra, sembrava un’ottima idea quella di fermare il tempo, lasciando tutte le cariche istituzionali e politiche al loro posto per un altro periodo. Ora però sa che il tempo non si ferma e quindi deve prendere una decisione, in realtà tutt’altro che difficile: dovrebbe dichiarare non la disponibilità, ma l’intenzione di sostenere la candidatura di Mario Draghi al Quirinale. In realtà non ha alternative. Se a Romano Prodi mancarono un centinaio di consensi, oggi qualsiasi candidato del Pd partirebbe con una maggioranza ipotetica assai più bassa. Inoltre, lasciare che alla fine siano le formazioni del centrodestra a candidare Draghi sarebbe un errore grave, che stenderebbe la sua ombra su un settennato cruciale.

D’altra parte, se c’è una possibilità di portare a termine la legislatura, questa risiede nell’autorevolezza di Draghi e nella sua possibilità di trovare una convergenza tra partiti che si preparano a fronteggiarsi alle elezioni politiche dell’anno dopo. Il problema non è la persona del nuovo presidente del Consiglio, ma la possibilità di evitare che le tendenze identitarie che verranno ovviamente esibite in modo ossessivo nell’anno elettorale non superino il livello al di sopra del quale la convergenza di governo diventa impraticabile. Spetterà comunque al Quirinale verificare se questa possibilità esiste, e se c’è qualcuno che può farcela è proprio Draghi, soprattutto se eletto con una larga maggioranza in cui spicchi l’impegno del Pd.

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