Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Da Augusto a Kennedy

L'urlo di Michetti terrorizza anche l'opposizione

Andrea Venanzoni

Dopo la batosta elettorale e le dimissioni dall'Assemblea capitolina, il tribuno radiofonico torna a fare show: "Il capo dell'opposizione crea problemi al sindaco, io no". E si mette a disposizione, gratis, di Gualtieri. Dulcis in fundo, il paragone con JFK

"Un conto è essere sindaco, un conto è essere capo dell'opposizione", con questa perentoria asserzione, davanti cui pure Monsieur Lapalisse si sarebbe tolto, deferente, il cappello, torna sulle scene Enrico Michetti, il tribuno radiofonico sfortunato candidato del centrodestra, rumorosamente sconfitto al ballottaggio da Gualtieri. E lo fa dai consueti microfoni di Radio Radio, sua emittente di elezione, da cui si è lasciato andare a una serie di considerazioni, alcune delle quali non mancheranno di suscitare vive reazioni politiche.

 

Come è noto, l’avvocato amministrativista scelto da Giorgia Meloni come candidato sindaco, subito dopo la sconfitta elettorale, ha pensato bene di dimettersi immediatamente dall’Assemblea capitolina, lasciando tutti sconcertati, tutti a parte alcuni esponenti di Fratelli d’Italia che hanno abbozzato addirittura surreali giustificazioni. Infatti dopo le dimissioni michettiane, Carlo Calenda, che aveva in precedenza manifestato la medesima intenzione, fiutata scaltramente l’aria, ci ha ripensato e ha partecipato al primo Consiglio, lasciando al solo Michetti il poco invidiabile primato di più celere dimissionario dalla carica.

 

E così Fratelli d’Italia, main sponsor dell’avvocato, descritto come una sorta di Mr Wolf capace di risolvere problemi, anche se a ben vedere almeno a livello politico ha finito più che altro per crearne, si ritrova con un altamente imbarazzante cerino per le mani. L’onorevole Federico Mollicone, che duramente aveva criticato Calenda per la manifestata intenzione poi rientrata di dimettersi dall’Assemblea capitolina, quando poi Michetti è passato alle vie di fatto, rinunciando allo scranno, è rimasto liturgicamente silente. Francesco Lollobrigida, onorevole del partito meloniano, paventato candidato in Regione Lazio, addirittura ha pensato bene di lodare la scelta di Michetti, definendola ‘coraggiosa’. L’unico che ha manifestato delle forti perplessità sulla rinuncia al seggio era stato in precedenza Fabio Rampelli, rimasto però vox clamantis in deserto.

 

E l’imbarazzo dei patrioti meloniani è destinato ad aumentare dopo il recentissimo exploit radiofonico di Michetti, il quale pensa bene di spiegare le sue dimissioni facendo presente, oltre alla richiamata differenza tra Sindaco e opposizione, che per lui sarebbe del tutto antitetico il ruolo di oppositore visto che, testuale, "il sindaco risolve i problemi della comunità, ed è quello che faccio da 30 anni assistendo sindaci e funzionari pubblici. Il capo dell'opposizione deve invece creare problemi al sindaco. Una cosa assolutamente antitetica per me. Per la mia città posso pensare che qualunque cosa faccia il sindaco io la prendo e la rovescio?".

 

Con poche parole, al tempo stesso, l’avvocato finisce con il mancare di rispetto ai suoi ex sodali di corsa elettorale, relegati al triste, e molto limitativo, ruolo di guastafeste di chi governa e per dimostrare di avere una idea piuttosto confusa e bizzarra dell’opposizione che invece dovrebbe esplicare una fondamentale valenza di sorveglianza, controllo e garanzia. Non pago, Michetti va oltre e dice pure "io sono e rimango gratuitamente a disposizione del Comune se ne ha bisogno. Per la mia città non voglio creare il minimo intralcio. Non posso permettermi di trovare il cavillo per far saltare ogni cosa. Perché io amo questa città".

 

Assodato quindi che per il tribuno radiofonico l’opposizione sembra avere come statuto esistenziale solo quello di disseminare mine, intralci e trappole, assistiamo anche a una messa a disposizione, gratuita, delle sue competenze e capacità giuridiche a favore della città, cioè della maggioranza che lo ha sconfitto al ballottaggio.

 

Ed anche questo è un autentico capolavoro politico di cui in Fratelli d’Italia saranno assai soddisfatti. Almeno però Michetti sembra aver evoluto i suoi riferimenti culturali e i suoi metri di paragone. Niente più Roma antica, questa volta, ma un solido paragone tra lui e Kennedy che la prima volta, ricorda l’avvocato, le elezioni le perse pure lui. Il problema è che Kennedy poi venne ricandidato. Michetti non si sa.

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