Claudio Furlan/LaPresse 

il giusto approccio

Contro gli ambientalisti dogmatici

Claudio Cerasa

Per combattere il climate change occorre combattere anche chi ha trasformato in un culto la difesa dell’ambiente. Come far prevalere l’innovazione sui dogmi quando si parla di clima. L’altro show di Draghi

Tra le innovazioni più significative imposte nel dibattito pubblico da Mario Draghi ce n’è una importante che riguarda un tema che scalda poco i cuori degli osservatori italiani. Quel tema ha a che fare con l’approccio nuovo scelto dal presidente del Consiglio sulle politiche climatiche e negli ultimi mesi il capo dell’esecutivo italiano ha dimostrato in almeno tre occasioni per quale ragione coloro che tendono con disinvoltura a trasformare l’ambientalismo in una religione dogmatica meritano di essere annoverati tra i nemici dell’ambiente. La prima occasione, prima ancora di arrivare ai nostri giorni, ai giorni di Glasgow, ai giorni della Cop26, è stata a febbraio, durante il suo discorso di esordio al Senato, quando Draghi, nell’indifferenza dei più, ha attaccato i professionisti della decrescita felice spiegando che combattere il climate change senza preoccuparsi di trovare una qualche via per non intaccare la crescita è una pazzia che nessun paese può permettersi di promuovere. E Draghi lo ha fatto con queste parole: “Proteggere il futuro dell’ambiente, conciliandolo con il progresso e il benessere sociale, richiede un approccio nuovo”.

Clima. perché sarebbe meglio far prevalere l'innovazione sui dogmi

L’approccio nuovo di Draghi consiste nel non voler utilizzare le politiche ambientaliste come se queste fossero dei piccoli e grandi cavalli di Troia utili a processare la globalizzazione, e utili ad alimentare il senso di colpa dell’occidente, e alcune tracce ulteriori dell’approccio di Draghi le si possono riscontrare in altre due occasioni. In primo luogo, una frase importante del premier è quella pronunciata a cavallo tra il G20 e la Cop26 e il fatto che il presidente del Consiglio abbia detto, testualmente, che “nel lungo periodo dobbiamo essere consapevoli che le energie rinnovabili possono avere dei limiti” costituisce un’occasione utile per ragionare in modo non dogmatico su quali sono le alternative vere per avere energia pulita senza restare ostaggi dell’ideologia. Draghi non dice esplicitamente quali sono tutte le alternative possibili. Ma, come riconosciuto spesso in questi mesi dal ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, la verità è che per seguire il metodo pragmatico imposto su questo terreno dal presidente del Consiglio, ovverosia concentrarsi più sull’innovazione che sui dogmi per non trasformare le politiche contro il cambiamento climatico in mannaie per la crescita, le strade oggi sono due. E corrispondono entrambe a due tabù che prima o poi andranno affrontati fino in fondo.

La sponda di Draghi alla Cop26

La prima strada è osservare senza paraocchi cosa deciderà l’Unione europea nelle prossime settimane quando dovrà stabilire se il nucleare (compresi i mini reattori) potrà essere considerato o no una forma di energia verde, come spera che accada la Francia di Macron, che dal nucleare produce ancora oggi circa il 70 per cento della sua energia. La seconda strada è quella suggerita da Draghi nel suo primo intervento alla Cop26, quando il premier ha parlato di “tecnologie innovative in grado di catturare il carbonio”, facendo riferimento esplicito a una tecnologia che consente di catturare le emissioni di anidride carbonica ed evitarne l’immissione nell’atmosfera e che permette di stoccare sotto terra il gas catturato. Una tecnologia che permetterebbe (a) di ridurre le emissioni, (b) di rendere sostenibili alcune attività (acciaio, cemento, plastica e ammoniaca) che allo stato attuale sarebbero troppo costose da decarbonizzare e (c) di indirizzare il dibattito relativo alla lotta contro il climate change un po’ più distante dal terreno dell’ideologia e un po’ più vicino al terreno del pragmatismo, nella consapevolezza che una buona soluzione contro il riscaldamento climatico non è scommettere sull’idea di cambiare tutto subito, a qualunque costo ma è scommettere con forza sull’unico antidoto possibile contro l’ambientalismo dogmatico: l’innovazione, bellezza.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.