L'incontro

L'ironia di Meloni e l'imbarazzo di Letta, a tu per tu a Villa Borghese 

Gianluca De Rosa

I due leader dialogano alla presentazione del libro di Fabrizio Roncone. Sorrisi tirati e siparietti, ma su legge elettorale e Quirinale sono d’accordo. Salvini è il convitato di pietra: si cita ma non si nomina 

Fra i due serpeggia un certo imbarazzo. Enrico Letta, in particolare, è proprio rigido. “Aho, più vicini di così che dobbiamo fare… ci dobbiamo baciare?”, stempera Giorgia Meloni scherzando con i fotografi che davanti alla scaletta che porta al palco vorrebbero uno scatto un po’ più sciolto. E invece le facce sono contratte. Il sorriso del segretario del Pd assume le fattezze di una paralisi. Eppure entrambi sono lì, sul palco all’aperto fuori dalla casa del Cinema di villa Borghese. L’occasione è la presentazione del libro “Razza poltrona” del giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Roncone. Un lungo racconto delle vicende della politica degli ultimi anni che ne tratteggiano la decadenza, fino al definitivo commissariamento de facto con l’avvento del governo Draghi. Ed è proprio l’autore – che li ha voluti sul palco – a mettere positivamente nello stesso cappello delle eccezioni, di chi ancora offre speranza alla politica, i due leader di schieramenti avversi: “Loro sono diversi, hanno capito quello che sta succedendo e non fanno come qualcuno che si fa le foto mentre mangia la nutella”. Riferimento per nulla velato a Matteo Salvini, che di questo incontro è il convitato di pietra: si cita, ma non si nomina. In fondo sul palco ci sono rispettivamente il miglior nemico e la peggiore amica del segretario leghista. L’unica volta che si parla di Lega, e delle sue spaccature sul tema green pass, comunque, Meloni difende il suo alleato: “Spesso si dice che la Lega non sia leale con il governo, ma non è neanche leale chiedere i voti della Lega per misure che non vuole”. 

 

 

Con Letta, invece, nonostante il clima freddino, il dialogo parte con un’inedita intesa. Il segretario dem e la leader di FdI convengono sul fatto che per arginare la crisi della politica sia necessario partire dalla legge elettorale. "Serve un sistema in cui sono i cittadini a scegliere i parlamentari", dice Letta. "Sulla legge elettorale, abbiamo portato in Aula il superamento delle liste bloccate", ricorda Meloni. Ma il feeling termina qui. Appena la leader di Fratelli d’Italia tira fuori il semipresidenzialismo alla francese “che permetterebbe a chi vince di governare cinque anni senza compromessi contraddittori”, Letta scuote la testa: "Non condivido". 

 

Meloni è più dialogante. Allunga il braccio, guarda Letta, risponde parlando direttamente a lui: “Volevo dire ad Enrico…”, “per rispondere ad Enrico…”. Il segretario del Pd invece è gelido, risponde solo alle domande del moderatore guardando sempre avanti verso la platea – in prima fila siedono Luigi Zanda, Ugo Sposetti, Michela Di Biase, ma anche Nunzia Di Girolamo e Roberto D’Agostino – e quando Meloni parla, con la mimica facciale, manifesta spesso il suo disappunto. Lei cerca di presentarsi moderata, ricorda che: “Indipendentemente dalla scelte che ha fatto FdI io sono consapevole che Mario Draghi sia in questo momento l'italiano più autorevole di cui disponiamo. Sui temi che in Europa andranno affrontati il premier può considerare l'opposizione maggioranza". 

 

Anche sul Quirinale, comunque, si trovano d’accordo. Stesse previsioni e stessi auspici. Dialogo fra maggioranza e opposizione, la ricetta giusta per sceglierlo. Un voto che non farà cadere il governo, la previsione di entrambi. “La mia idea – ha detto Letta – è che l'anno prossimo non ci saranno e lezioni anticipate". Impressione comune a quella di Meloni: "Credo che le quotazioni di Mattarella siano molto alte, ma non condivido questa scelta. Con Draghi si andrebbe al voto e questo è un punto a favore di questa soluzione, ma proprio per questo gli altri partiti non la vorranno”. 

 

A dividere al massimo i due leader ci pensa il reddito di cittadinanza. A Cernobbio la presidente di FdI lo aveva definito “metadone di stato”.  Sul palco di villa Borghese ha spiegato il senso di quella uscita: "Ho detto che la mentalità dalla quale muove il M5s per il reddito di cittadinanza, è lo stesso che usa lo stato per risolvere il problema della tossicodipendenza: il metadone non cura la malattia. L'errore è ritenere che si possa trattare nella stessa maniera un disabile e un ragazzo di trent'anni che potrebbe lavorare". Ma l’argomentazione non ha convinto Letta. "A me quell’espressione non è piaciuta”, ha detto, prima di confermare però anche lui la necessità di modificare la normativa attuale: “Si può superare tenendo il reddito di cittadinanza su sacche di povertà, e poi fare interventi di aiuto al lavoro". 

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