Riformare il reddito di cittadinanza. Sì, ma come?

Al forum Ambrosetti la politica litiga sulla povertà

Francesco Stati

Per Salvini è un fallimento, Meloni parla di “metadone di Stato”, mentre Letta e Conte aprono alla modifica dello strumento. Le nostre interviste e le nostre proposte

Il reddito di cittadinanza divide la maggioranza e compatta le destre. Lo certifica il forum Ambrosetti di Cernobbio, dove ogni anno politica ed economia si incontrano per discutere del futuro del paese e della società civile. Per Matteo Salvini e Giorgia Meloni, le rive del Lago di Como sono l’occasione per riavvicinarsi, dopo mesi di competizione strisciante. Tutto merito della comune avversione allo strumento di contrasto alla povertà caro al movimento cinque stelle. E dire che, in passato, il segretario della Lega lo aveva definito una riforma di giustizia sociale. “Alla prova dei fatti si è rivelato un fallimento – dice invece oggi, a margine di un evento al forum –, pensare che sia uno strumento per reintrodurre il lavoro è una follia: questa estate non si trovava manodopera da Livigno a Tropea”. Come sfruttare, quindi, quelle risorse? “Userei quei dieci miliardi per creare lavoro e sostenere le imprese”, propone.

 

Ancor più netta la posizione di Giorgia Meloni. La leader di Fratelli d’Italia, dopo averlo definito “metadone di Stato” attirando a sé le critiche del Partito democratico, prova ad aggiustare il tiro: “La mentalità con cui lo stato approccia il reddito di cittadinanza è la stessa con cui approccia la tossicodipendenza con il mantenimento a metadone: si tratta di tenere le persone nella condizione in cui si trovano”. Una spiegazione sospesa tra scienza, sociale ed economia. E ancora: “Credo che combattere la povertà non sia tenere le persone nella loro condizione con la paghetta di stato: esattamente come con la tossicodipendenza, credo che il problema si possa risolvere tirando fuori le persone da quel vincolo”. Come? “Creando lavoro – prosegue – e questo il reddito di cittadinanza non lo ha fatto. È stato un grandissimo disincentivo, uno strumento diseducativo. Mi rifiuto di pensare che, come fu detto ai tempi del governo gialloverde, quella potesse essere una soluzione per il mezzogiorno d’Italia”. Poi, la stoccata ai grillini: “Lo sviluppo è un modo per liberare la gente dalla povertà, non mantenerla con la paghetta. I cinque stelle vogliono tenerlo solo per questioni di consenso politico”.

 

Dai democratici, invece, arriva una parziale levata di scudi: reddito di cittadinanza sì, ma con qualche modifica. Se il ministro del Lavoro Andrea Orlando, pur riconoscendone le imperfezioni, lo vede come necessario per “non tornare a essere tra quei pochi paesi che non hanno uno strumento di sostegno che contrasti la povertà”, il segretario del Pd Enrico Letta si schiera al fianco di Mario Draghi. “Siamo a favore che si modifichi o si migliori. Si parta dalle cose che non hanno funzionato e si mantenga però un intervento a favore della povertà che esiste nel nostro paese”, dice a margine di un intervento a Cernobbio, aggiungendo come “il reddito di cittadinanza è stato spesso pensato come un intervento a favore dell'occupazione, ma è un intervento di contrasto alla povertà”. Per combattere la disoccupazione, secondo il segretario dem, occorre un altro approccio: “bisogna riformare l’apprendistato e detassare le nuove assunzioni, questi sono gli strumenti che servono”. Gli fa eco l’ex presidente del Consiglio, oggi voce dei cinque stelle, Giuseppe Conte, che in un intervento video ha aperto a miglioramenti per lo strumento: “C’è chi ne propone l’abolizione, ma è una misura di necessità, non solo di civiltà. Non possiamo tornare indietro, discutiamo di modifiche che ne migliorino ancor di più l’efficacia”.

 

Che il reddito di cittadinanza sarebbe stato terreno di scontro nella maggioranza era chiaro da tempo, negli ambienti politici. Lo aveva affermato già ad agosto, sulle pagine del Foglio, anche Antonio Misiani, senatore e responsabile economico del Pd. La posizione del partito, ieri come oggi, era di modificarlo: “Né arroccamento, né conservazione. Bisogna agire con realismo e non in maniera ideologica. Sono sbagliate sia le posizioni di chi non vuole toccare il reddito di cittadinanza sia quelle opposte, perché in questo modo ci allontaneremmo dall’Europa e rimarremmo disarmati contro l’emarginazione sociale”. La convinzione di Misiani era che i cinque stelle, se coinvolti nel processo di modifica, avrebbero partecipato senza fare barricate: “Quando il Parlamento sarà chiamato a intervenire anche i 5 stelle collaboreranno per migliorare la misura. Sono sicuro che ci confronteremo e troveremo la soluzione migliore”. Quali le strategie di intervento? “Bisogna agire su tre livelli: sui criteri d’accesso, sugli incentivi occupazionali e sul potenziamento di servizi per l’impiego e sociali dei comuni, perché senza questo tipo di strutture il reddito diventa uno strumento di mera assistenza, mentre deve essere uno strumento che favorisce l'inclusione sociale”.

 

Nell’intervista, Misiani criticava anche l’atteggiamento del segretario di Italia Viva, Matteo Renzi, tra i più accesi avversatori di questo strumento, tanto da proporre un referendum per la sua abolizione. Sempre sulle pagine de Il Foglio era intervenuto pochi giorni dopo Luigi Marattin, presidente della commissione Finanza alla Camera e deputato renziano. “Non siamo contrari al contrasto alla povertà – diceva – ma, numeri alla mano, lo strumento che ha sostituito il Rei (reddito di inclusione, ndr) è stato un fallimento, o nella migliore delle ipotesi un cattivo uso dei soldi pubblici, e va sostituito con uno migliore”. Quale? “Occorre staccare la parte sulle politiche attive, recuperando e sviluppando l’assegno di ricollocazione. Poi, sganciare la parte sul sostegno ai working poor, e sostituirla con l’imposta negativa. Infine, cambiare la parte sussidi, adeguando la scala di equivalenza familiare, tenendo conto delle differenze di potere d’acquisto sul territorio nazionale, e coinvolgendo maggiormente i comuni per quanto concerne le condizionalità per l’accesso al sussidio”.

 

Non mancano, anche nel mondo accademico, le proposte di revisione del reddito di cittadinanza. Il professor Ugo Colombino, dell’Università di Torino, ha presentato la sua sulle nostre pagine; in particolare, l’economista propone di includere le modifiche in un piano più ampio, che coinvolge anche la riforma del fisco, sfruttando la teoria della tassazione ottimale. Poi, presenta alcune soluzioni: “Primo, una base impositiva la più ampia possibile, idealmente la somma di tutti i redditi personali, indipendentemente dalla fonte. Secondo, una progressività ottenuta non tanto con aliquote marginali crescenti, ma piuttosto con una imposta negativa o – equivalentemente – con un reddito di base universale. Ecco un modo per realizzare questo sistema. Eliminare o ridurre al minimo le tassazioni separate. Introdurre un reddito minimo garantito che cresce al crescere del reddito proprio, fino a che quest’ultimo non raggiunge il livello di reddito esente, diciamo 1.000 euro mensili per un singolo”. Questo sistema, (la cosiddetta Imposta negativa – Negative income tax), “assicura un buon compromesso tra sostegno ai redditi bassi e incentivi al lavoro – prosegue –. Gli incentivi al lavoro sono dovuti al fatto che – a differenza di quanto avviene con il reddito di cittadinanza – la soglia garantita cresce al crescere del reddito”. 

 

Dalla sua istituzione, il Rdc ha animato il dibattito pubblico. Tuttavia, con il passare dei mesi, sempre più esperti si sono disancorati dal sostegno integrale alla misura, proponendo via via le modifiche più disparate. Nell’arco parlamentare, anche i più acerrimi difensori della legge, quelli convinti di aver abolito la povertà, sembrano propensi a intervenire per migliorarne l’efficacia. A questo governo, o a chi lo seguirà, il compito di correggere la rotta di uno strumento che appare tanto necessario quanto imperfetto.