Il palazzo delle Finanze a Roma, dove ha sede il ministero dell'Economia (Foto Mef-Facebook)

L'Imposta negativa per una riforma organica di fisco e Rdc

Ugo Colombino

Un sistema basato sulla cosiddetta Negative income tax assicura un buon compromesso tra sostegno ai redditi bassi e incentivi al lavoro. La Teoria della tassazione ottimale

Tutti i partiti hanno presentato le loro proposte per la riforma del fisco ed è anche stato prodotto un documento di sintesi in base al quale presumibilmente si cercherà di formulare una proposta condivisa o almeno maggioritaria. È la procedura democratica. Ma esiste una procedura “scientifica” per disegnare il sistema fiscale (che certo dovrà poi essere vagliato democraticamente)? Esiste eccome, si chiama Teoria della tassazione ottimale. In quel che segue mi riferisco alla tassazione sui redditi personali (l’Irpef in Italia), anche se la teoria può coprire altre dimensioni, ricchezza o patrimonio, impresa, consumi e così via). 

 

Si tratta di un capitolo decisamente specialistico della teoria economica, ma l’idea di fondo è abbastanza semplice. Immaginate di essere un nobile medioevale. Sulla terra che possedete lavorano contadini che producono cibo. Per il mantenimento vostro e dei soldati addetti alla difesa della terra e dei contadini da azioni ostili, avete bisogno ogni anno di una quantità di cibo almeno uguale a R. Quel che resta lo consumano i contadini. Non avete tempo né capacità di controllare quanto lavorano i contadini. Lo decidono loro in base alle loro preferenze e alla loro produttività. E anche a seconda del modo con cui prelevate la quantità di cibo che vi serve. Se ci sono 100 contadini potreste semplicemente provare a prelevare a ciascun contadino un centesimo di R. Ma non è così semplice, magari qualcuno non è riuscito nemmeno a produrlo. Voi siete un padrone benevolente, cioè avete a cuore (magari egoisticamente) il benessere dei vostri contadini. Quindi il problema è disegnare il prelievo di cibo in modo da ottenere per voi R e nello stesso tempo garantire il massimo benessere possibile ai contadini (benessere che dipende sia dal cibo che dal tempo che impiegano a produrlo).

 

Sostituite il nobile medioevale con lo Stato, R con la spesa pubblica, i contadini con i cittadini e il cibo con il reddito da loro prodotto: ecco il problema della tassazione ottimale (dei redditi personali). In generale, la quantità prelevata sarà una qualche funzione del prodotto. La prima soluzione di questo problema è stata presentata da James Mirrlees (Oxford, premio Nobel nel ’96) in un saggio del 1971. Per diversi anni, questo campo di ricerca è rimasto prevalentemente a livello teorico, con esempi empirici che tuttavia avevano un rapporto piuttosto esile con i dati reali. Più recentemente, vari ricercatori, hanno sviluppato metodi che assicurano un uso più diretto dei dati. Uno di questi filoni, che vede anche la mia partecipazione, usa un modello di microsimulazione: un programma che – dato un certo sistema fiscale – simula le scelte dei contribuenti e il loro conseguente livello di benessere raggiunto. Facendo “girare” il programma sui vari sistemi fiscali che riteniamo ragionevoli candidati, possiamo individuare quello che ci garantisce il gettito fiscale richiesto (cioè R) e il massimo livello possibile di benessere dei cittadini (ci sono naturalmente diversi modi di misurare questo benessere: problema che qui non affrontiamo).  

 

Analisi effettuate con dati di diversi paesi europei, Italia compresa, suggeriscono alcune caratteristiche di un sistema ottimale. Primo, una base impositiva la più ampia possibile, idealmente la somma di tutti i redditi personali, indipendentemente dalla fonte. Secondo, una progressività ottenuta non tanto con aliquote marginali crescenti, ma piuttosto con una imposta negativa o – equivalentemente – con un reddito di base universale. Ecco un modo per realizzare questo sistema. Eliminare o ridurre al minimo le tassazioni separate. Introdurre un reddito minimo garantito che cresce al crescere del reddito proprio, fino a che quest’ultimo non raggiunge il livello di reddito esente, diciamo 1.000 euro mensili per un singolo. Dati gli attuali livelli di produttività, per l’Italia si potrebbe partire da 300 euro mensili come soglia garantita per un singolo privo di redditi. La soglia garantita tuttavia aumenta all’aumentare del proprio reddito. Per esempio, a 300 si aggiunge il 70% del mio reddito. Se il mio reddito è 500, la soglia garantita diventa 300 + 0,70 X 500 = 650, ovvero ricevo un sussidio di 150 euro. Se il mio reddito è 700, la soglia garantita diventa 300 + 0,70 X 700 = 790 e ricevo un sussidio pari 90.

 

Continuo a ricevere sussidi (decrescenti) se il mio reddito è inferiore a 1.000 euro. Se è uguale, il mio reddito netto rimane 1.000 euro. Oltre i .1000 euro non ricevo sussidi e pago in base a una aliquota quasi “flat”, che in questo caso risulta essere pari a circa il 30 per cento se vogliamo rispettare il vincolo di bilancio pubblico, cioè l’analogo di R del nostro esempio iniziale. Questo per la maggior parte dei livelli di reddito. Su redditi molto elevati l’aliquota marginale potrebbe anche essere più alta o più bassa, a seconda delle preferenze sociali: nella individuazione del sistema fiscale ottimo si tiene conto del peso che si vuol dare alla disuguaglianza. 

 

Questo sistema (la cosiddetta Imposta negativa - Negative income tax) assicura un buon compromesso tra sostegno ai redditi bassi e incentivi al lavoro. Gli incentivi al lavoro sono dovuti al fatto che – a differenza di quanto avviene con il Reddito di Cittadinanza – la soglia garantita cresce al crescere del  reddito. Questo meccanismo è equivalente a un reddito di base universale di 300 euro (la somma suggerita da Van Parijs, il più noto proponente del reddito di base universale, durante un convegno romano di qualche anno fa per un paese come l’Italia) accompagnato una imposta proporzionale del 30 per cento per la maggior parte dei livelli di reddito. Il meccanismo di sostegno dei redditi bassi è simile a quello previsto dal Reddito di inclusione (che tuttavia partiva da una soglia garantita molto più bassa, 187 euro, e aveva criteri di accesso che non lo rendevano  universale). L’imposta negativa è anche vicina ai sistemi di credito di imposta o di benefit sui redditi da lavoro bassi che hanno dato buoni risultati negli Stati Uniti (Eitc), in Inghilterra (Wftc) e in diversi paesi dell’Europa centrale e della Scandinavia.

 

Per quel che ho potuto capire leggendo i documenti disponibili è anche abbastanza vicino alla proposta di riforma avanzata da Italia Viva. L’equivalenza tra l’imposta negativa e il reddito di base – purché entrambi universali – non è stata percepita con chiarezza nel dibattito italiano, tutt’ora molto confuso. Ma è vera, salvo qualche qualificazione. Quando Van Parijs nel ’95 (“Real freedom for all”) propose il reddito di base universale, Milton Friedman, che decenni prima aveva proposto l’imposta negativa sbottò: “What’s the difference?”. Aveva ragione. Ma ce l’aveva anche Van Parijs, rispondendo che un conto è ricevere ogni primo del mese il basic income (e poi eventualmente restituirlo in parte o in toto indirettamente pagando le tasse), un altro conto è ricevere un sussidio condizionato al proprio reddito mensile o annuale. Ci possono essere differenze che si riflettono sui costi amministrativi, sull’accesso al credito, sulla capacità di programmare le spese e così via. Forse l’imposta negativa è politicamente più sostenibile, puntando sulla illusoria percezione che il reddito di base – a differenza dell’imposta negativa – premi anche i non bisognosi. Può sembrare vero, ma è falso (purché si tenga conto sia dei sussidi ricevuti sia delle tasse pagate).

 

Bisogna aggiungere che il disegno e gli effetti di un sistema come quello illustrato dipendono in modo significativo da altre condizioni prevalenti nell’economia, in particolare la produttività e la flessibilità con la quale le imprese possono rispondere agli incentivi. Le nostre simulazioni ci dicono che se la riforma fiscale fosse accompagnata da riforme che portino a un incremento della produttività (+10%) e della flessibilità (possibilità di aumentare la produzione senza incrementi di costo unitario, di oneri fiscali e burocratici) in Italia ci si potrebbe permettere uno scenario migliore: per un singolo, il reddito di base e il reddito salirebbero rispettivamente a 350 euro e 1.400 euro e l’aliquota marginale  scenderebbe al 25 per cento.

 

Ugo Colombino, economista, Università di Torino

Di più su questi argomenti: