Grafica di Enrico Cicchetti

Per la sinistra è ora di decidere

Claudio Cerasa

Essere il vaccino o la variante del virus dell’illiberalismo. Il formidabile monito dell’Economist

È un affondo formidabile quello costruito dall’Economist contro le minacce veicolate dalla sinistra illiberale e contro il tentativo da parte dei professionisti della nuova e vecchia cancel culture di promuovere nel dibattito pubblico un pensiero unico che tende a imporre purezza ideologica, che tende a cancellare le idee dei propri avversari, che tende a squalificare chiunque abbia un pensiero alternativo a quello così detto mainstream.

 

È un affondo formidabile quello costruito dall’Economist perché contribuisce a mettere al centro dell’attenzione un problema vero, reale, tangibile che non ha a che fare solo con la cultura del cancelletto. Ha a che fare con qualcosa di più profondo, di più radicato, che coincide con il tentativo farlocco da parte di un pezzo del mondo progressista di affermare le proprie verità non attraverso un confronto con i propri avversari ma attraverso l’eliminazione delle loro idee.

 

È un affondo giusto, saggio, ben costruito che dovrebbe essere studiato con attenzione da tutti coloro che a sinistra si autoproclamano ogni giorno come i veri argini al pensiero illiberale di destra e che spesso non si accorgono di essere ostaggi anche loro di un paradosso mica male: denunciare l’illiberalismo degli avversari imponendo nel dibattito pubblico strategie illiberali utili a combattere i propri avversari non con la forza delle idee ma con la violenza delle fatwe.

   

I progressisti illiberali, scrive l’Economist, pensano di avere un progetto per liberare i gruppi così detti oppressi ma in realtà la loro è una formula alternativa per l’oppressione degli individui, che non è molto diversa dai piani della destra populista. Non a caso populisti e progressisti illiberali si alimentano a vicenda in un modo patologico, che offre alla stessa destra illiberale l’opportunità di poter combattere battaglie in difesa della libertà d’espressione. Il formidabile monito dell’Economist dovrebbe essere studiato con attenzione dalla sinistra non solo per combattere le proprie degenerazioni interne ma anche per provare a combattere con più efficacia le degenerazioni dei propri avversari. Ed è evidente che in presenza di una destra sovranista, nazionalista, populista ed esplicitamente illiberale l’unica sinistra che può sperare di avere un qualche successo nella lotta contro i populismi altrui è quella che sceglie di uscire dall’ambiguità del suo illiberalismo smascherando l’illiberalismo dei propri avversari.

 

E per farlo, non basta combattere la destra sovranista sul terreno dei diritti (niente oscurantismo) o su quello dell’immigrazione (niente muri) ma è necessario fare quel passo in avanti che non sempre la sinistra mondiale (compresa quella italiana) riesce a fare fino in fondo. Un passo in avanti che coincide con la capacità di intestarsi un’alleanza strategica da cui dipende il nostro futuro e che la destra sovranista ha scelto miserabilmente di combattere piuttosto che rappresentare con forza. Quell’alleanza strategica, che non contempla necessariamente l’alleanza con i populismi fintamente ripuliti, è formata da un perfetto e necessario incrocio tra stato, mercato e tecnologia. E all’interno di questo triangolo il limite della sinistra moderna, tranne poche eccezioni, è evidente: essere contro l’illiberalismo della destra senza essere in grado di interpretare fino in fondo le alternative all’illiberalismo. La stagione della pandemia ha mostrato in modo chiaro quali sono i limiti della cultura sovranista ma non ha contribuito in modo altrettanto chiaro a convincere la sinistra di un fatto importante.  

  
La necessità, per esempio, di intestarsi con coerenza le battaglie per la libertà, perché come diceva Filippo Turati le libertà sono tutte solidali e non se ne offende una senza offenderle tutte. La necessità di fare delle opportunità offerte dal mercato e dall’innovazione non nemici da cui difendersi ma alleati con cui costruire benessere. La necessità di fare del mercato un alleato per combattere i nazionalismi illiberali trasformando l’apertura dei mercati in un formidabile check and balance utile ad arginare le azioni dei movimenti nemici della libertà.

  

La necessità di fare della globalizzazione e della concorrenza non uno spauracchio da demonizzare ma uno strumento per ridurre le diseguaglianze, per generare ricchezza, per combattere la povertà, per promuovere il merito, per combattere i monopoli e per aprire le corporazioni. In presenza di una destra illiberale ci sarebbero buone opportunità per avere una sinistra non illiberale, capace di miscelare i tre ingredienti della riscossa futura, tre ingredienti che sono anche dietro al successo dei vaccini, della loro elaborazione, della loro sperimentazione, della loro creazione, della loro distribuzione. Ma per poterlo fare è necessario che i  liberali capiscano prima quali sono i nemici interni che li tengono imbrigliati cogliendo un’altra verità che spesso sfugge alla sinistra. E cioè che la sinistra illiberale è proprio il fantoccio che alimenta il successo della destra illiberale. E’ ora di scegliere. E’ ora di mettere da parte le ambiguità. E’ ora di decidere, per la sinistra, se di fronte al virus dell’illiberalismo vuole offrire un vaccino o vuole proporre una variante. Il futuro della lotta contro il populismo, in fondo, parte da qui, e complimenti all’Economist.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.